mercoledì 28 novembre 2012

L'OPERA DI MONET A 44 MILIONI DI DOLLARI

Rari capolavori di Claude Monet, Wassily Kandinsky e Constantin Brancusi hanno contribuito a  realizzare lo straordinario risultato di vendita di $ 205 milioni di dollari (€ 159.744.000), raggiunto dalla Impressionist & Modern Art Evening Sale di Christie’s New York. L’asta ha visto la partecipazione di clienti da tutto il mondo e ha raggiunto un indice di vendita del 70% per lotto e del 80% in valore. Tra le 69 opere offerte, 5 lotti sono stati venduti per oltre $ 10 milioni, 10 per oltre $ 5 milioni e 31 per oltre $ 1 milione.

Il top price della serata è stato raggiunto dall’opera “Nymphéas” (The Water Lilies) di Claude Monet. Il capolavoro, venduto ad un offerente privato americano per la cifra da capogiro di 43,7 milioni di dollari ( € 34.134.750), non solo ha permesso all’artista di segnare il suo secondo record di vendita all’asta ma ha anche contribuito, insieme alla vendita dei due paesaggi impressionisti di Camille Pissarro e Alfred Sisley, al raggiungimento di un totale di vendita di 51 milioni di dollari ( 39.410.000) che verrà devoluto in beneficenza alla scuola indipendente Hackley di New York.

Un altro record è stato poi segnato dall’opera “Studie für Improvisation 8” di  Wassily Kandinsky i cui proventi di vendita pari a $23.042.500 (€ 17.973.150) sosterranno economicamente i programmi di beneficenza della Fondazione Volkart. A guidare le opere scultoree in asta è stato il capolavoro di Constantin Brancusi “Une Muse”, venduto a $12.402.500 (€ 9.673.950). Non è mancato all’appello un gruppo eccezionale di opere di Picasso, condotto da “Buste de femme” del 1937, e lavori surrealisti guidati dall’opera “Peinture” di Joan Miró (“Femme, Journal, Chien”, 1925) venduta a 13.746.500 dollari (€ 10.722.270).

Top ten
-Claude Monet, Nymphéas, 1905, venduto a $43.762.500 (€34.134.750)
-Wassily Kandinsky, Studie für Improvisation 8, 1909, venduto a $23.042.500 (€17.973.150), record mondiale di vendita per l’artista.
-Joan Miró, Peinture, (Femme, Journal, Chien),1925, venduto a $13.746.500 (€10.722.270)
-Pablo Picasso, Buste de femme,1937, venduto a $13.074.500 (€10.198.110)
-Constantin Brancusi, Une muse, 1912, venduto a $12.402.500 (€9.673.950)
-Alberto Giacometti, La Jambe,1958, venduto a $11.282.500 (€8.800.350)
-Alberto Giacometti, Tête sur tige, 1952, venduto a $6.802.500 (€5.305.950)
-Pablo Picasso, Femme au chien, 1962,  $6.354.500 (€4.956.510)
-Alberto Giacometti, Tête sans crâne, 1962, $5.570.500 (€4.344.990)
-Pablo Picasso, Tête de femme, 1952, $5.234.500 (€4.082.910)

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IPHONE PIU' COSTOSO E PREZIOSO DEL MONDO

È nei negozi da pochi mesi, ma l’iPhone 5, l’ultimo gioellino tecnologico di casa Apple, ha già fatto impazzire  i fan di Cupertino sparsi per il pianeta battendo ogni record di vendite. Da semplice cellulare a vero e proprio dettaglio di stile che suggerisce mode e tendenze, ormai sono a decine le aziende che invadono il mercato con versione impreziosite con oro e diamanti, cover e gadget di lusso, dedicati allo smartphone più amato di sempre.

La cover più preziosa al mondo
Una festa in grande stile, tenutasi presso il prestigioso Kensington Roof Gardens, per una cover davvero unica al mondo che con i suoi 303mila dollari di valore (circa 233mila euro) si aggiudica il titolo di custodia per smartphone più cara di ogni tempo.

Stiamo parlando della London Lotus iPhone Case, l’ultimissima creazione firmata da Uunique London in collaborazione con l’attrice – naturalizzata americana – Mischa Barton, che scalza dalla prima posizione la cover ideata dalla The Natural Sapphire Company di New York. Una cover in oro 18 carati, ricamata con una tempesta di rari diamanti bianchi e rosa (certificati dal Gemological Institute of America) che formano un suggestivo motivo floreale, che s’ispira all’esotico fiore di loto.  La custodia è accompagnata da una pochette in pelle su misura, progettata con una fodera in una bella combinazione di pelle di coccodrillo e di struzzo. Il tutto è posto all’interno di una scatola in legno ricavata da 3 rare querce di bosco, due varietà di radica e noce nero.

foto dal web

Seconda in classifica
Come dicevamo la seconda posizione in classifica è occupata dalla  The Natural Sapphire Company di New York. Cosa ha di speciale? Una vera esplosione di pietre preziose, oro bianco 18 carati con incastonati 2.830 zaffiri Ceylon, per un totale di 169,8 carati. Ma non solo…provate a immaginare il famoso logo della Apple ricoperto da ben 38 rubini per un totale di 2,28 carati e la foglia della mela realizzata come un unico zaffiro verde naturale a taglio marquise. Insomma, un modo per rendere il vostro smartphone ancora più esclusivo e alla moda, per un sogno di alta gioielleria a 100mila dollari (circa 77mila euro).

Se la cover è preziosa lo smartphone non è da meno
Ne è un esempio la maison Stuart Hughes pronta a lanciare una esclusiva limited edition di solo 100 esemplari. Ci sono volute settimane di lavorazione per ogni modello, ma il risultato finale è un capolavoro in oro massiccio di 128 grammi e 18 carati, con il logo tempestato da 53 bellissimi diamanti per un totale di un carato. Prezzo? £21,995.00 -  circa 27mila euro.
Guardate la gallery e gustatevi tutte le cover e prodotti per i-Phone 5 più preziosi ed esclusivi.

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martedì 27 novembre 2012

EUROZONA : GRECIA TROVA L'ACCORDO

Dopo una lunga maratona fra i 17 Paesi dell'Euro, ieri notte è stato raggiunto un sofferto e complesso accordo col Fondo monetario internazionale per salvare Grecia. Il cui debito pubblico dovrà scendere entro il 2020 al 124% rispetto al 190% attuale grazie a un mix fra tagli al debito ed erogazione di ulteriori prestiti per 43,7 miliardi da dicembre a marzo 2013. Attenzione che il via libera all’esborso avverrà il 13 dicembre, quando i parlamenti nazionali dovranno approvare le manovre. Che cosa deciderà il Bundestag, vista la guerra della Germania e dei Paesi del Nord Europa a qualunque tipo di taglio del debito? Nel frattempo, Tokyo ha festeggiato con un rialzo dello 0,37%.

Ieri l’Eurogruppo ha riconosciuto che il governo greco sta portando avanti le riforme per il risanamento dei conti come richiesto dai partner. Per tale ragione, entro dicembre verranno versati i primi 34,4 miliardi e nel primo trimestre 2013, in altre tre tranche, ulteriori 9,3 miliardi, per un totale di 43,7 miliardi. Il via libera formale all'esborso è però rinviato al 13 dicembre prossimo, quando la decisione sarà stata approvata dai parlamenti nazionali che lo prevedono (a partire dal Bundestag).

Il mix di misure che ha dato il via libera all'intesa tra eurogruppo ed Fmi prevede ''sforzi da parte di tutti'', ovvero Stati, Grecia e Fmi, ha detto il presidente dell'eurogruppo Jean Claude Juncker al termine della riunione durata oltre 12 ore. E’ previsto il taglio di 100 punti base degli interessi sui prestiti bilaterali, una riduzione di 10 punti base del costo delle garanzie che la Grecia paga al fondo salva-stati Efsf, una moratoria di 10 anni sui tassi dei prestiti concessi dal fondo salva-Stati Efsf, un'estensione di 15 anni delle scadenze dei prestiti e uno slittamento di 10 anni dei pagamenti degli interessi. Inoltre, gli Stati rinunciano ai loro profitti sui bond greci e li verseranno direttamente ad Atene in un conto bloccato.

Soddisfatto il presidente del Consiglio greco Antonis Samara: ''Tutto è andato bene. Tutti i greci insieme hanno lottato per questa decisione, e domani comincia un nuovo giorno'', ha detto ai media del Paese commentando l'accordo. Samaras ha aggiunto di aver comunicato la buona notizia ai dirigenti degli altri due partiti della coalizione governativa da lui guidata, il leader socialista Evangelos Vénizeos e quello della Sinistra democratica Fotis Kouvelis.

E anche il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) ha applaudito alle iniziative accordate dall'Eurogruppo alla Grecia, che puntano ad appoggiare il programma di riforme economiche del Paese e contribuiscono in modo sostanziale alla sostenibilità del debito greco. Lo ha detto il direttore generale del Fmi, Christine Lagarde, in una nota, sottolineando che le misure accordate aiuteranno a portare il rapporto debito-Pil della Grecia su una traiettoria sostenibile e a facilitarne il graduale ritorno sul mercato.

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IL CANONE RAI DIVENTA OBBLIGATORIO

Parlerà tedesco la nuova normativa per il canone della Rai. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, il ministero dell'Economia, che è l'azionista della televisione di Stato, sta mettendo a punto una proposta di legge per trasformare il vecchio canone di Viale Mazzini da tassa di possesso a vero contributo obbligatorio di servizio pubblico.

E la base per la nuova normativa, che punta a dare un colpo all'evasione dell'ex abbonamento, stimata dagli uffici del Tesoro al 25%, verrà mutuata da una legge che sta per entrare in vigore in Germania, dove da anni ci si trova a fronteggiare un tasso di renitenti al canone molto alto. Proprio il governo di Angela Merkel è riuscito a far passare una riforma che svincola il pagamento del servizio dal possesso effettivo dell'apparecchio tv. In altri termini, il canone viene trasformato in un «contributo infrastrutturale» che tutti i coabitanti di uno stesso alloggio sono tenuti a pagare per avere la possibilità di ricevere il segnale e godere del servizio pubblico radiotelevisivo. Su tutta la materia vigila nel Paese dei lander l'autorità di servizio tedesca (GEZ) che gestirà dal prossimo anno il «rundfunkbeitrag», appunto il contributo, con tanto di campagna di convinzione: nella home page della GEZ campeggia inquietante uno spazio intitolato proprio alle nuove modalità di pagamento (Der Rundfunkbeitrag kommt!).

La storia dell'evasione del canone alla televisione tedesca ricorda un po' quella che stanno affrontando da pochi mesi i nuovi vertici della Rai, Anna Maria Tarantola e Luigi Gubitosi, rispettivamente presidente e direttore generale. In Germania, al pari del sistema italiano, i cittadini sostengono ogni anno un canone tv pari a 215,76 euro per la visione di soli due canali pubblici (Ard e Zdf, oltre alla radio federale Deutschlandfunk). Dal 1° gennaio 2013, invece, il canone-tassa sarà sostituito da un tributo-imposta fisso per ogni residenza e questo indipendentemente dal numero o dalla presenza di un apparecchio radiotelevisivo in grado di ricevere o meno i programmi. Ai servizi di informazione pubblica, così, viene attribuito un valore culturale nazionale, più o meno quello che vuole fare il Tesoro italiano e che potrebbe prendere corpo a breve almeno come tema di discussione nei prossimi cda.

Con un provvedimento alla tedesca, il vecchio abbonamento Rai (termine che tra l'altro verrà presto bandito da tutti i siti informativi di Viale Mazzini perché ha sempre lasciato intendere una discrezionalità nel pagare o meno) di 112 euro potrebbe essere pagato in banca con un modulo F24. Su questo punto ci sarebbe già un parziale assenso tra i consiglieri del Pdl mentre la questione non è stata ancora affrontata ai massimi livelli. Qualcuno, come in Germania, potrebbe eccepire l'eventualità di incostituzionalità della norma. A Berlino il governo ha avuto l'ok da autorevoli costituzionalisti, che anzi hanno caldeggiato l'applicazione della riforma del canone televisivo, che consentirà alla Merkel di aumentare gli attuali incassi di 8-10 miliardi di euro, pizzicando gli oltre 3 milioni gli evasori stimati.

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lunedì 26 novembre 2012

DOPO I SEQUESTRI E GLI ARRESTI L'ILVA CHIUDE

L'azienda annuncia: "Il provvedimento di sequestro del Gip comporterà in modo immediato l'impossibilità di commercializzare i prodotti e la cessazione di ogni attività nonché la chiusura dello stabilimento di Taranto e di tutti gli stabilimenti del gruppo". La Fiom non ci sta: "Restate in fabbrica"

La decisione dopo i sette arresti, di cui tre in carcere decisi dalla Procura. Tra Coinvolti il vicepresidente del Gruppo, Fabio Riva, l'ex direttore del siderurgico Luigi Capogrosso, l'ex consulente Girolamo Archinà e l'ex consulente della procura Lorenzo Liberti. Indagati il presidente Ferrante e il dg Buffo. Nel mirino le pressioni sulle pubbliche amministrazioni. I dettagli

I pm: "Il diritto alla vita e il diritto alla salute non siano comprimibili dall'attività economica". Bonelli (Verdi): "Un infame chi ha svenduto la salute dei cittadini". Ferrante: "Accuse strumentali, resto al mio posto"

Il gip: "Regia di Vendola dietro le pressioni all'Arpa". Il presidente della Regione in un'intercettazione diceva ad Archinà: "Di' a Riva che non mi sono defilato"

L'OPERAZIONE DELLA FINANZA - La Guardia di finanza ha eseguito una serie di arresti e sequestri a Taranto nei riguardi dei vertici dell'Ilva e di esponenti politici nell'ambito dell'inchiesta 'Ambiente venduto'. 

Sotto la lente degli investigatori una serie di pressioni che l'Ilva avrebbe effettuato sulle pubbliche amministrazioni per ottenere provvedimenti a suo favore e ridimensionare gli effetti delle autorizzazioni ambientali.

Sono sette gli arresti effettuati in totale, quattro ai domiciliari e tre in carcere. Tra le persone raggiunte dalle misure cautelari ci sono Fabio Riva, vicepresidente del gruppo Riva e figlio di Emilio Riva (gia' ai domiciliari dal 26 luglio scorso) e fratello di Nicola Riva (anche lui ai domiciliari dal 26 luglio); Luigi Capogrosso, ex direttore del siderurgico di Taranto anche lui ai domiciliari; Michele Conserva, ex assessore all'Ambiente della provincia di Taranto dimessosi nei mesi scorsi; Girolamo Archina', ex consulente dell'Ilva, addetto ai rapporti con le pubbliche amministrazioni e licenziato dall'attuale presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, ad agosto quando emersero i primi particolari dell'inchiesta 'esplosa' oggi. La seconda ordinanza riguarda una serie di sequestri, attualmente in corso.

INDAGATI IL PRESIDENTE FERRANTE E IL DG BUFFO - Anche il presidente dell'Ilva Bruno Ferrante e il direttore generale dell'azienda, Adolfo Buffo, sono coinvolti nell'inchiesta che ha portato all'emissione di sette ordinanze di custodia cautelare e al sequestro dei prodotti finiti/semilavorati. I due dirigenti hanno ricevuto altrettanti avvisi di garanzia. In carcere sono finiti Fabio Riva, ammistratore delegato dell'Ilva, Luig Capogrosso, ex direttore delle stabilimento l'ex consulente Girolamo Archina'. Ai domiciliari invece Emilio Riva, presidente della capogruppo della Riva Fire; Lorenzo Liberti, gia' presidente della facolta' di Ingegneria ambientale dell'universita' di Taranto e Michele Conserva ex assessore all'ambiente e l'ingegner Carmelo Dellisanti della Promed Engineering. Il sequestro preventivo riguarda i prodotti finiti/semilavorati realizzati, in violazione delle misure cautelari adottate a luglio.

ARRESTATI ACCUSATI DI CORRUZIONE E ASSOCIAZIONE DELINQUERE - Sette arresti, di cui tre in carcere, e sequestro di prodotti finiti: esplode l'inchiesta della Procura di Taranto sull'Ilva. Le accuse sono corruzione e associazione a delinquere. Tra le persone arrestate vi sono il vicepresidente del Gruppo, Fabio Riva, l'ex direttore del siderurgico di Taranto, Luigi Capogrosso, l'ex consulente dell'Ilva, Girolamo Archina', e l'ex consulente della procura di Taranto Lorenzo Liberti, gia' preside della Facolta' di Ingegneria a Taranto. Proprio Liberti, secondo la tesi dell'accusa, sarebbe il destinatario di una 'mazzetta' di 10mila euro che Archina' gli avrebbe consegnato nel marzo 2010 in una stazione di servizio lungo l'autostrada Taranto-Bari. I soldi dovevano servire, sempre secondo l'accusa, ad attenuare la perizia che Liberti, assieme ad altri esperti, stava conducendo su incarico della Procura di Taranto relativamente all'impatto dell'inquinamento da diossina sulle condizioni di vita e salute della popolazione tarantina. L'Ilva ha sempre smentito che si trattava di una tangente a Liberti ma ha affermato che quei soldi Archina' avrebbe dovuto versarli come donazione alla Diocesi di Taranto. Tra i provvedimenti adottati oggi c'e' anche il sequestro delle merci finite, in partenza dal porto di Taranto, prodotte dall'Ilva. La misura sarebbe stata adottata perche' Ilva avrebbe violato le prescrizioni del sequestro adottato dall'Autorita' Giudiziaria, nel luglio scorso, sugli impianti dell'area a caldo. Sequestro che non prevede la facolta' d'uso a fini produttivi degli impianti del siderurgico. 
BONELLI(VERDI), INFAME SVENDERE SALUTE DEI CITTADINI - "Non c'e' nulla di piu' infame che svendere la salute dei cittadini". Lo dichiara il Presidente dei Verdi Angelo Bonelli che aggiunge: "Il sistema Taranto si e' dimostrato un sistema di illegalita' e corruzione degno di una vera e propria organizzazione criminale che non si e' fatta scrupoli a lucrare sulla vita delle persone. Siamo convinti che il 'sistema Taranto' potrebbe essere il sistema che viene utilizzato nella maggior parte delle aree inquinate dove i cittadini, la loro salute e la loro vita sono le prime vittime di chi specula sull'inquinamento e opera nell'illegalita'". "Quello di Taranto sara' il processo ambientale piu' importante nella storia d'Italia. Quello che ci preoccupa, pero', e' l'incapacita' da parte del governo di fornire alla citta' una prospettiva politica, economica e occupazionale alternativa ad una citta' dove si muore d'inquinamento - spiega il leader ecologista - Con il tentativo di minimizzare l'emergenza ambientale e sanitaria e con la ricerca di soluzioni utili all'azienda piu' che ai cittadini si e' perso, volutamente, del tempo prezioso mentre l'unica istituzione ad aver compreso le proporzioni del dramma e del disastro e' stata la magistratura che sta facendo rispettare la legge". "Solo con la dichiarazione di Area No-tax si potrebbero attirare a Taranto 300 nuove aziende pronte a dare tanta occupazione 'pulita' - conclude Bonelli - Ma da quest'orecchio la politica ed il governo continuano ad essere sordi e a difendere un sistema produttivo diossina-dipendente".

I PM "DIRITTO VITA E SALUTE NON SONO COMPRIMIBILI" - E' di sette arresti il bilancio dell'operazione della guardia di finanza di Taranto che ha eseguito le ordinanze di custodia cautelare, perquisizioni e sequestri per la Ilva. Delle tre ordinanze in carcere (le altre quattro riguardano gli arresti domiciliari), una e' nei confronti di Fabio Riva che allo stato e' irreperibile. Due dei provvedimenti si riferiscono a procedimenti autorizzativi rilasciati dalla Pubblica amministrazione per materie ambientali e discariche, gli altri cinque invece sono riferiti al cosiddetto "filone Ilva" per il quale da luglio scorso e' in atto un sequestro per disastro ambientale degli impianti dell'area a caldo. Le ipotesi di reato vanno dall'associazione a delinquere (finalizzata al disastro ambientale aggravato e all'omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, avvelenamento di acque e sostanze alimentare), concussione e corruzione . Coinvolti, fra gli altri, Fabio Riva, vicepresidente dell'omonimo gruppo siderurgico, l'ex assessore all'Ambiente della Provincia di Taranto, Michele Conserva, l'ex direttore dello stabilimento siderurgico di Taranto, Luigi Capogrosso, e l'ex consulente dell'Ilva di Taranto, addetto ai rapporti con le Pubbliche Amministrazioni, Girolamo Archina'.

Ci sono anche circa 20 indagati a piede libero, e' stato sottolineato nel corso di una conferenza stampa svoltasi nella sede del comando dalla Guardia di Finanza, il procuratore capo della Repubblica, Franco Sebastio, non ha escluso ulteriori sviluppi. Parlando del filone d'indagine relativo all'Ilva, il magistrato ha evidenziato come "il diritto alla vita e il diritto alla salute non siano comprimibili dall'attivita' economica. Non ci possono essere situazioni di inesigibilita' tecnica ed economica quando e' in gioco il diritto alla vita che e' un diritto fondamentale sancito dalla Carta Costituzionale". Un riferimento che il procuratore ha fatto proprio per evidenziare la gravita' dell'inquinamento contestato all'Ilva. "Stiamo parlando - ha aggiunto il procuratore - di reati di pericolo che coinvolgono un gran numero di persone". Spiegando poi il provvedimento di sequestro sui beni prodotti dall'Ilva, coils e lamiere, il procuratore ha detto che "questi prodotti sono il prezzo e il profitto di un'attivita' che noi riteniamo penalmente illecita e quindi come tale da sottoporre a sequestro". In altri termini, i pubblici ministeri hanno ritenuto di dover sequestrare i prodotti finiti dell'Ilva in quanto dopo il sequestro dell'area a caldo senza facolta' d'uso fatto a luglio scorso, l'azienda ha ugualmente continuato a produrre. Il procuratore ha poi smentito che questa produzione, avvenuta dopo il sequestro, sia dovuta anche ad un'azione di mancata vigilanza dei custodi giudiziari responsabili delle aree del sequestro.

Il procuratore ha infatti chiarito che il primo provvedimento del gip, risalente al 26 luglio scorso, prevedeva che gli impianti dell'Ilva venissero spenti per far cessare le situazioni di pericolo. Successivamente due provvedimenti del tribunale del riesame hanno evidenziato - ha detto il procuratore - che "lo spegnimento non era l'unica misura possibile e che in ogni caso bisognava salvaguardare l'integrita' degli impianti per non comprometterne l'eventuale ripresa produttiva futura e la sicurezza dei lavoratori addetti. Questa puntualizzazione del riesame - ha sostenuto il procuratore Sebastio - ha fatto si' che i custodi giudiziari sviluppassero un ulteriore lavoro di approfondimento tecnico e noi nelle ultime settimane abbiamo anche contattato delle aziende esterne all'Ilva che si sono dette disponibili a procedere allo spegnimento degli impianti fermo restando tutte le misure e le cautele tecniche e di sicurezza.

Il sequestro fatto a luglio presupponeva anche una collaborazione da parte del soggetto colpito, collaborazione che invece non c'e' stata, ne' noi la potevamo imporre. Ecco perche' si e' reso necessario individuare delle alternative come appunto il ricorso ad aziende esterne, anche se esiste un problema di spesa che dovra' affrontare l'erario". Al procuratore e' stato poi chiesto se di fatto il blocco a valle dei prodotti dell'Ilva non portera' ora l'azienda a doversi autonomamente fermare. Il procuratore ha cosi' risposto: "Questo lo dovete chiedere all'Ilva, non a noi". Il procuratore ha poi aggiunto che gran parte dell'inchiesta si e' basata sulle intercettazioni "dalle quali non certo emerge - ha affermato Sebastio - un quadro allegro e confortante". A tal proposito il procuratore ha citato un'intercettazione, senza pero' specificare a chi fosse riferita, nella quale si dice testualmente: "Due casi di tumore in piu' all'anno... Una minchiata". Noi - ha affermato il procuratore - siamo dell'avviso che la vita umana sia sacra e anche il diritto alla vita di una sola persona va tutelato sopra ogni cosa. Ci conforta che le nostre richieste siano state accolte integralmente dal gip".

FERRANTE: NON HO ALCUNA INTENZIONE DI LASCIARE IL MIO RUOLO" - “Non ho alcuna intenzione di rinunciare all’incarico di Presidente di Ilva S.p.A., assunto nel luglio scorso. Le contestazioni che mi sono state rivolte dal PM di Taranto appaiono inconsistenti e strumentali. Proseguirò nel mio compito nell’interesse dei tanti lavoratori e dell’Azienda, convinto sempre che è possibile e doveroso coniugare ambiente, salute e lavoro”. Queste le dichiarazioni di Bruno Ferrante.

TARANTO, AREA 'A FREDDO' VERSO LO STOP - L'Ilva di Taranto si accinge a fermare tutta l'area a freddo, ovvero tubifici, rivestimenti, laminatoi, treni nastri e treno lamiere a seguito del sequestro disposto dalla Magistratura oggi per i prodotti finiti. La Procura ha infatti sequestrato 'coils' e lamiere, prodotti nelle ultime settimane in quanto li ritiene 'provento e profitto di attivita' penalmente illecita', quella cioe' derivata dagli impianti dell'area a caldo, altiforni e acciaierie, che dal 26 luglio scorso sono sotto sequestro senza facolta' d'uso con l'accusa di disastro ambientale. L'Ilva, dicono i pm, non poteva produrre dopo il sequestro e il fatto che abbia continuato a farlo e' un illecito. Di qui il blocco dei prodotti derivati da quest'attivita'.Per l'area a freddo, causa la crisi di mercato, l'Ilva aveva gia' fermato alcuni impianti nei giorni scorsi come il treno lamiere e il rivestimento tubi, ai quali si e' aggiunto dalla fine della scorsa settimana anche il tubificio due. Per effetto di questa fermata 700 lavoratori sono in ferie forzate in attesa che l'Ilva definisca con i sindacati metalmeccanici un accordo sulla cassa integrazione ordinaria, gia' chiesta per 2mila unita'. Adesso, invece, a valle del sequestro disposto dalla Magistratura, l'Ilva ha deciso di fermare tutta l'area a freddo e quindi piu' impianti. Si calcola che circa 5mila potrebbero essere i lavoratori coinvolti in questo stop.

AZIENDA,CON SEQUESTRO INELUTTABILE CHIUSURA STABILIMENTO - Il provvedimento di sequestro emesso oggi dal Gip di Taranto, comportera' "in modo immediato e ineluttabile l'impossibilita' di commercializzare i prodotti e, per conseguenza, la cessazione di ogni attivita' nonche' la chiusura dello stabilimento di Taranto e di tutti gli stabilimenti del gruppo che dipendono, per la propria attivita', dalle forniture dello stabilimento di Taranto". Lo sottolinea l'azienda in una nota, rendendo noto che "la Societa' proporra' impugnazione avverso il provvedimento di sequestro e, nell'attesa della definizione del giudizio di impugnazione, ottemperera' all'ordine impartito dal GIP di Taranto". "Premesso che ILVA non e' parte processuale nel procedimento penale - si legge nella nota - ed e' quindi estranea a tutte le contestazioni ad oggi formulate dalla Pubblica Accusa; premesso altresi' che lo stabilimento ILVA di Taranto e' autorizzato all'esercizio dell'attivita' produttiva dal decreto del Ministero dell'Ambiente in data 26.10.2012 di revisione dell'AIA; premesso infine che il provvedimento di sequestro emesso dal GIP di Taranto in data odierna si pone in radicale e insanabile contrasto rispetto al provvedimento autorizzativo del Ministero dell'Ambiente, la Societa' proporra' impugnazione avverso il provvedimento di sequestro e, nell'attesa della definizione del giudizio di impugnazione, ottemperera' all'ordine impartito dal GIP di Taranto". "Per chiunque fosse interessato -prosegue la nota aziendale- ILVA mette a disposizione sul proprio sito le consulenze, redatte da i maggiori esponenti della comunita' scientifica nazionale e internazionale, le quali attestano la piena conformita' delle emissioni dello stabilimento di Taranto ai limiti e alle prescrizioni di legge, ai regolamenti e alle autorizzazioni ministeriali, nonche' l'assenza di un pericolo per la salute pubblica. ILVA ribadisce con forza l'assoluta inconsistenza di qualsiasi eccesso di mortalita' ascrivibile alla propria attivita' industriale, cosi' come le consulenze epidemiologiche sopraccitate inequivocabilmente attestano".

PRESSIONI SULL'ARPA, SECONDO IL GIP CI SAREBBE REGIA DI VENDOLA - Ci sarebbe 'la regia' del governatore della Puglia, Nichi Vendola, nelle 'pressioni' per 'far fuori' il direttore generale dell'Arpa Puglia, Assennato, autore della relazione sulle emissioni inquinanti prodotte dall'Ilva. Lo scrive il gip di Taranto Patrizia Todisco nell'ordinanza d'arresto per i vertici dell'Ilva. Intanto il presidente dell'Ilva Bruno Ferrante annuncia che non si dimette e il ministro dell'Ambiente Corrado Clini si dichiara preoccupato che questa iniziativa blocchi l'Aia.

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SCONTRINI DETRAIBILI DALLE TASSE

Contro il lavoro nero arriva lo scontrino detraibile: le ricevute si potranno scaricare dalla dichiarazione dei redditi. Secondo i promotori del provvedimento lo sconto fiscale dovrebbe essere un incentivo a chiedere lo scontrino, in modo da far emergere il lavoro nero. Ma il fronte di chi giudica inutile o dannoso il cosiddetto contrasto di interessi si ingrossa.   

L'emendamento, presentato da Giuliano Barbolini (Pd) all'interno della delega fiscale, sarà votato in Senato nei prossimi giorni. In un primo momento, il governo Monti si era detto contrario. Poi il via libera, grazie a una formulazione più vaga, che affida all'esecutivo il compito di "emanare disposizioni per l'attuazione di misure finalizzate al contrasto di interessi fra contribuenti, selettivo e con particolare riguardo alle aree maggiormente esposte al mancato rispetto dell'obbligazione tributaria, definendo attraverso i decreti legislativi le più opportune fasi applicative e le eventuali misure di copertura finanziaria". La sostanza non cambia: il governo dovrà studiare una soluzione che permetta di scaricare gli scontrini dalla dichiarazione dei redditi. Magari lo sconto non si potrà esercitare per la ricevuta di cornetto e cappuccino: con tutta probabilità si tenterà questa strada nei settori più esposti al "nero".  

L'emendamento non incontra però un consenso unanime. Non sono poche le voci che definiscono il provvedimento non solo inutile (perché non riuscirebbe a far emergere il lavoro nero) ma anche dannoso per le casse dell'Erario.  

Giuseppe Bortolussi della Cgia di Mestre si rifà agli effetti di detrazioni già in vigore. “Se guardiamo al nostro Paese e consideriamo i casi legati alle ristrutturazioni edilizie, dove il contribuente può detrarsi dall’Irpef il 36% delle spese sostenute e addirittura il 55% di quelle per i risparmi energetici, possiamo stimare un costo per l’Erario di 2,4 miliardi di euro all’anno”. I miliardi "scontati" agli italiani sarebbero stati tre. L'auspicio era quello di recuperare questa somma attraverso il gettito delle transazioni "stanate" dal Fisco.

Il risultato è rimasto lontano dall'obiettivo: la somma recuperata dal nero è stata inferiore ai 630 milioni. E poi, sostengono i detrattori, per quanto convenienti possano essere gli sconti, l'evasione totale resta "più conveniente". Anche il governo ha riconosciuto questo "difetto di progettazione" e continua a manifestare scetticismo: la perdita per le casse dello Stato è immediata e certa. Il recupero del nero, al contrario, sarebbe successivo e incerto.
 
Infine, sulla lotta all'evasione è intervenuto il premier Mario Monti che ha spiegato come il governo "in qualche caso sia andato ai margini della violazione della privacy", aggiungendo però che sul tema dell'evasione "siamo in stato di guerra e non è possibile avere una pace sociale tra cittadini e Stato se non con una riduzione del fenomeno".

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domenica 25 novembre 2012

TFR : TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO

Ti hanno appena assunto. Sei giovane e giustamente contento perché trovare lavoro in questo periodo di crisi non è facile per nessuno. Ma non sederti sugli allori. C’è una scelta da fare nel giro di poco tempo. Una scelta che avrà le sue conseguenze sul tuo futuro. Devi decidere come destinare il tuo Tfr, cioè il trattamento di fine rapporto. Entro sei mesi dall’assunzione, infatti, tutti i lavoratori dipendenti devono indicare cosa vogliono fare della liquidazione, una vera e propria retribuzione differita, che il datore corrisponde al dipendente in ogni caso di cessazione di rapporto di lavoro subordinato.

La decisione, frutto di una peculiarità tutta italiana, è repentina e delicata. In ballo non ci sono soltanto i criteri di convenienza economica, ma anche la propria propensione al rischio. Con l’aumento dell’età pensionabile, sempre più evidente con la riforma Fornero di un anno fa, infatti, il lavoratore dovrà scegliere se tenersi la liquidazione maturata e una pensione più bassa o se investirla nella speranza di avere una pensione vicina all’80 per cento dell’ultima retribuzione.

Il lavoratore dipendente appena assunto ha tre opzioni fondamentali per destinare il proprio Tfr:
  1. lasciare il Trattamento di fine rapporto nell’azienda in cui lavora,
  2. destinarlo al Fondo Tesoreria Inps (Istituto nazionale della previdenza sociale);
  3. sottoscrivere un’adesione ad una forma di previdenza complementare (fondi pensione) presso istituti bancari o compagnie di assicurazione.
Per capire cosa sia meglio scegliere è necessario partire da una distinzione basilare. La normativa, che ha subito le ultime modifiche con la riforma del 2005, distingue fra aziende con meno o più di 50 dipendenti. Le differenze sono sostanziali ed è opportuno vederle più nel dettaglio.

Aziende con meno di 50 dipendenti.
Se il dipendente lascia il Tfr nella propria azienda non ci sono molte novità rispetto al passato. C’è una rivalutazione ogni anno di un tasso determinato da una quota fissa dell’1,5 per cento e dal 75 per cento dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo accertato dall’Istat rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente. Il Tfr maturato al momento della cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni, licenziamento e pensionamento viene calcolato sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso diviso per 13,5 (è pari al 6,91 per cento della retribuzione). Inoltre il lavoratore può chiedere un anticipo fino a un terzo della liquidazione dopo 8 anni di servizio per il pagamento della casa o di spese di salute. La scelta di conferire il Tfr al datore di lavoro è reversibile, nel senso che in un secondo momento è possibile disporre il versamento all’Inps o al fondo pensione privato, ma non si può fare il contrario.

Aziende con almeno 50 dipendenti. Anche in aziende di queste dimensioni è possibile rilasciare il Tfr al proprio datore di lavoro. L’azienda è però obbligata a trasferire le somme presso un fondo unico nazionale, gestito direttamente dall’Inps. In caso di cessazione del rapporto di lavoro, oppure di una richiesta di anticipo, il datore di lavoro dovrà pagare al dipendente, per poi rivalersi a sua volta sul fondo previdenziale. Con la riforma del 2005 è stato introdotto il criterio del silenzio-assenso per il conferimento del Trattamento di fine rapporto a una forma pensionistica.
In pratica il lavoratore dipendente ha sei mesi per scegliere se destinare il Tfr ai fondi pensione (sia di categoria che aperti). Nel caso in cui il lavoratore non effettui nei termini di legge una scelta esplicita, il datore di lavoro trasferisce il Tfr alla forma pensionistica collettiva di riferimento, cioè a un fondo negoziale oppure a un fondo pensione aperto individuato in base ad accordi collettivi. In presenza di più forme pensionistiche collettive, il Trattamento di fine rapporto viene trasferito a quella cui abbia aderito il maggior numero di lavoratori dell’azienda. Qualora non vi sia una forma pensionistica collettiva di riferimento, il datore di lavoro trasferisce il Tfr maturando (ossia quello che matura dopo l’adesione a un Fondo) al FondInps, la forma pensionistica complementare istituita presso l’Inps.

Tra le scelte per destinare il proprio Tfr c’è quella delle forme pensionistiche complementari. Si tratta di un’opzione che lo Stato italiano sta incentivando da un punto di vista fiscale per favorirne la ancora scarsa diffusione. Basti pensare che i rendimenti prodotti sono tassati all’11 per cento anziché al 12,50 per cento previsto per tutte le altre tipologie d’investimento. 

Le più importanti forme di previdenza complementari sono classificabili in quattro gruppi.

Fondi chiusi o negoziali.
Il costo di gestione è il più vantaggioso. Sono istituiti dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavori nell’ambito della contrattazione nazionale, di settore o aziendale. A questa tipologia appartengono anche i fondi pensione cosiddetti territoriali, istituiti cioè in base ad accordi tra datori di lavoro e lavoratori appartenenti a un determinato territorio o area geografica. Questo tipo di Fondi, oltre al Tfr dei lavoratori possono raccogliere ulteriori versamenti effettuati sia dai lavoratori sia dai datori di lavoro. L’adesione a questi Fondi, tuttavia, non obbliga a versamenti ulteriori, in aggiunta al Tfr.

Fondi aperti.
Il costo medio di gestione è dell’1,9 per cento all’anno per 3 anni di sottoscrizione, dell’1,4 per cento per 10 anni e dell’1,2 per cento per 35 anni. Sono forme pensionistiche complementari istituite da banche, imprese di assicurazione, Società di gestione del risparmio (Sgr) e Società di intermediazione mobiliare (Sim). Questi fondi possono essere scelti per la destinazione del TFR da tutti i lavoratori. Il patrimonio dei Fondi resta comunque separato da quello della società che l'ha istituito, in modo da salvaguardare il credito dei lavoratori. Anche in questo caso l'adesione non obbliga a versamenti ulteriori, in aggiunta al Tfr.

Pip (Piani individuali Pensionistici). Il costo di gestione è il meno vantaggioso (circa il 2 per cento annuo per 35 anni di sottoscrizione). In genere sono creati dalle imprese di assicurazione attraverso polizze assicurative sulla vita con finalità previdenziali. Anche in questo caso il patrimonio dei PiP resta separato da quello della compagnia di assicurazione che l’ha istituito.

Fondi preesistenti.
Sono le forme pensionistiche presenti prima del 1993 quando la previdenza complementare è stata disciplinata per la prima volta. Dal 2007, con un disposto alla Riforma della previdenza complementare, si sono sempre più allineati agli attuali Fondi pensionistici integrativi.

Le tante opzioni in campo spesso confondono i lavoratori, soprattutto i nuovi assunti. Volendo trovare una sintesi delle varie opinioni degli esperti si può partire dal dire che se la propria azienda aderisce ad un fondo pensione tramite un accordo collettivo, per il lavoratore sarà sicuramente conveniente. La propria azienda, infatti, avrà l’obbligo di versare a favore del proprio dipendente una quota pari ad almeno il 2 per cento del suo reddito tabellare, cioè quello minimo previsto dai contratti collettivi per il proprio livello di inquadramento. Il dipendente, da parte sua, sarà obbligato ad investire mensilmente una quota, fiscalmente deducibile, pari all’1 per cento del proprio reddito tabellare.

Sicura, ma in generale meno conveniente la scelta del Fondo Tesoreria Inps. Da un lato i problemi di insolvenza sono ridotti, dall’altro le rivalutazioni attribuite al Tfr, pur essendo basse, sono comunque costanti e garantite nel tempo. Il rischio, invece, potrebbe essere altro se si lascia il proprio Tfr in azienda. L’insolvenza del datore di lavoro, infatti, lascerebbe il dipendente senza stipendio e liquidazione. Una prospettiva meno probabile per banche e compagnie di assicurazioni. Se si considera la questione dal punto di vista fiscale i fondi pensione sono più convenienti: mentre la tassazione del Tfr versato all’Inps dipende dalla propria aliquota media Irpef, infatti, nel caso dei fondi pensione l’aliquota di tassazione è pari al 15 per cento e può decrescere con l'aumentare dell'anzianità di contribuzione fino al 9 per cento.  L’altra faccia della medaglia sono i rendimenti altalenanti. Il fondo del resto non è tenuto a fare investimenti che tutelino il capitale, garantendo un interesse positivo, per quanto basso, come titoli di Stato oppure obbligazioni. Inoltre i fondi privati non sono a capitale garantito, in particolare in caso di fallimento del fondo stesso o delle imprese private in cui ha investito il capitale raccolto.

Per il Tfr non c’è, insomma, una scelta priva di pericoli. Lo Stato, però, è orientato a stabilire maggiori tutele soprattutto per la previdenza complementare. Non a caso la Covip, l’autorità amministrativa indipendente, che ha il dovere di vigilare sul buon funzionamento del sistema dei fondi pensione, ha un potere sempre maggiore. Dall’obbligo di individuazione dei gestori in base a una selezione pubblica all’indicazione dei criteri e dei vincoli agli investimenti fino all’imposizione di regole di gestione dei conflitti di interesse. E alla Covip recentemente è stato assegnato un altro compito: la responsabilità di controllo sugli investimenti finanziari e sul patrimonio delle Casse professionali private e privatizzate.

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