Fisco / Con l’ultima rata dell’Imu il 2012 si chiuderà con maggiori tasse per quasi 130 miliardi: in un anno bruciato un 10% di ricchezza
Si avvicina il pagamento della seconda rata dell'Imu e Confcommercio lancia l'allarme: altro che maggiori entrate per 11 miliardi rispetto all'Ici, l'incremento sarà di oltre 18 miliardi. Conti alla mano gli italiani subiranno quest'anno un prelievo fiscale più pesante di circa 130 miliardi di euro rispetto all'anno passato. In dodici mesi la "cura Monti" ha bruciato un 10% della ricchezza nazionale, complice il peso del debito e l'assenza di crescita.
Venire fuori dagli errori del passato costa. Se poi un
paese accumula un debito di quasi 2 mila miliardi di euro, pari ad
oltre il 120% del suo Pil (secondo l’Ocse rischia di balzare a fine anno
al 127%, dal 119,8% di fine 2011, per arrivare al 131,4% a fine 2014),
costa ancora di più, come gli italiani stanno imparando, a proprie
spese, a comprendere. Il mix di tagli e aumenti d’imposta che il governo
Monti ha varato, in alcuni casi prendendo le mossa da provvedimenti
messi in cantiere già dal precedente governo Berlusconi, è finora stato
più sbilanciato sulle ultime piuttosto che sui primi.
Per la precisione tra Imu (che ha sostituito l’Ici), Tares (che dal
prossimo anno sostituirà la Tarsu), maggiori accise sui carburanti,
tasse sulle imbarcazioni, aerei e auto di lusso, aumenti dell’Iva (dal
20% al 21%), armonizzazione della tassazione sulle rendite finanziarie
al 20% (esclusi titoli di stato e buoni postali, per cui l’imposta resta
al 12,5), “mini patrimoniale” su titoli e strumenti finanziari, Tobin
tax, scudi fiscali, contributi di solidarietà, riduzione della
deducibilità di alcune voci di spesa come l’auto aziendale, più elevati
acconti sulle riserve matematiche delle assicurazioni, riforma del
lavoro e altre decine di singoli provvedimenti, il conto complessivo è
stato stimato, prudenzialmente, in 120 miliardi di euro di maggiore
prelievo fiscale negli ultimi dodici mesi.
In realtà il conto, per le tasche degli italiani, potrebbe essere
ancora maggiore perché già oggi Confcommercio ha fatto sapere che,
tenendo conto anche della media ponderata delle aliquote deliberate
dagli 8 mila Comuni italiani, la stangata dell’Imu (il 17 del mese si
deve pagare il saldo) sarà più pesante del previsto: non 11 miliardi di
maggiore gettito rispetto all’Ici (9,07 miliardi nel 2011), per un
totale di circa 20 miliardi, come stimato dal ministero dell’Economia e
finanze, ma oltre 18 miliardi di maggiori entrate fiscali, per un
prelievo complessivo di 28,21 miliardi nel 2012.
Insomma: a fine anno gli italiani potrebbero aver dovuto pagare quasi
130 miliardi di euro in più che nel 2011, uno “svuotamento di tasche”
aggiuntivo pari a circa l’8,25% del Pil, che intanto sarà sceso rispetto
a dodici mesi fa di un 2,2% (e un altro 1% rischia di perdere l’anno
venturo), se le stime dell’Ocse si riveleranno corrette. Nel complesso
solo quest’anno un 10% abbondante di ricchezza nazionale sarà così stata
“bruciata” dall’effetto congiunto della crisi economica e del rigore
che il premier Monti ha voluto/dovuto seguire stante i rigidi limiti
imposti all’Italia dalla sua adesione alla comunità europea oltre che
dal peso del proprio debito pregresso.
Ancora una volta è evidente come l’attuale ricetta di ispirazione
“tedesca” sia di per sé insufficiente a farci risalire la china,
nonostante l’ottimismo continuamente professato dallo stesso Monti, che a
suo merito può in parte ascrivere il calo degli spread tra i titoli di
stato italiani e tedeschi attorno al 3%, la metà circa del livello a cui
si trovavano all’attuo del suo insediamento a Palazzo Chigi. Una
riduzione che, calcoli alla mano, dovrebbe aver alleviato il conto sul
debito pubblico di circa 25 miliardi di euro, ma chi sperasse che questo
“tesoretto” possa essere girato a breve in nuova spesa pubblica per
cercare di far ripartire la crescita è destinato a rimanere deluso, come
ha ancora due giorni fa ricordato il ministro dell’Economia e finanza,
Vittorio Grilli.
“Non è previsto da nessuna regola contabile, e tanto meno dalle regole
Ue, che si possano anticipare gli eventuali risparmi sui tassi
d’interesse”, per loro natura troppo legati a “fattori volatili”, ha
spiegato Grilli. Così non resta che una sola vera via d’uscita per
evitare di fare la fine della Grecia o della Spagna: riuscire a
convincere i partner europei (Germania in testa) della necessità di
trasferire le eccedenze di capitali dal Nord al Sud del vecchio
continente, andando a colmare quella “frammentazione dei mercati
finanziari” più volte stigmatizzata da Mario Draghi, il numero uno della
Bce la cui determinazione è finora servita per acquistare tempo ed
evitare salassi ancora più repentini e dolorosi per i cittadini dei
PIIGS europei.
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