venerdì 7 dicembre 2012

TASSE, TASSE E ANCORA TASSE...

Fisco / Con l’ultima rata dell’Imu il 2012 si chiuderà con maggiori tasse per quasi 130 miliardi: in un anno bruciato un 10% di ricchezza

Si avvicina il pagamento della seconda rata dell'Imu e Confcommercio lancia l'allarme: altro che maggiori entrate per 11 miliardi rispetto all'Ici, l'incremento sarà di oltre 18 miliardi. Conti alla mano gli italiani subiranno quest'anno un prelievo fiscale più pesante di circa 130 miliardi di euro rispetto all'anno passato. In dodici mesi la "cura Monti" ha bruciato un 10% della ricchezza nazionale, complice il peso del debito e l'assenza di crescita.

Venire fuori dagli errori del passato costa. Se poi un paese accumula un debito di quasi 2 mila miliardi di euro, pari ad oltre il 120% del suo Pil (secondo l’Ocse rischia di balzare a fine anno al 127%, dal 119,8% di fine 2011, per arrivare al 131,4% a fine 2014), costa ancora di più, come gli italiani stanno imparando, a proprie spese, a comprendere. Il mix di tagli e aumenti d’imposta che il governo Monti ha varato, in alcuni casi prendendo le mossa da provvedimenti messi in cantiere già dal precedente governo Berlusconi, è finora stato più sbilanciato sulle ultime piuttosto che sui primi. 

Per la precisione tra Imu (che ha sostituito l’Ici), Tares (che dal prossimo anno sostituirà la Tarsu), maggiori accise sui carburanti, tasse sulle imbarcazioni, aerei e auto di lusso, aumenti dell’Iva (dal 20% al 21%), armonizzazione della tassazione sulle rendite finanziarie al 20% (esclusi titoli di stato e buoni postali, per cui l’imposta resta al 12,5), “mini patrimoniale” su titoli e strumenti finanziari, Tobin tax, scudi fiscali, contributi di solidarietà, riduzione della deducibilità di alcune voci di spesa come l’auto aziendale, più elevati acconti sulle riserve matematiche delle assicurazioni, riforma del lavoro e altre decine di singoli provvedimenti, il conto complessivo è stato stimato, prudenzialmente, in 120 miliardi di euro di maggiore prelievo fiscale negli ultimi dodici mesi. 

In realtà il conto, per le tasche degli italiani, potrebbe essere ancora maggiore perché già oggi Confcommercio ha fatto sapere che, tenendo conto anche della media ponderata delle aliquote deliberate dagli 8 mila Comuni italiani, la stangata dell’Imu (il 17 del mese si deve pagare il saldo) sarà più pesante del previsto: non 11 miliardi di maggiore gettito rispetto all’Ici (9,07 miliardi nel 2011), per un totale di circa 20 miliardi, come stimato dal ministero dell’Economia e finanze, ma oltre 18 miliardi di maggiori entrate fiscali, per un prelievo complessivo di 28,21 miliardi nel 2012. 
Insomma: a fine anno gli italiani potrebbero aver dovuto pagare quasi 130 miliardi di euro in più che nel 2011, uno “svuotamento di tasche” aggiuntivo pari a circa l’8,25% del Pil, che intanto sarà sceso rispetto a dodici mesi fa di un 2,2% (e un altro 1% rischia di perdere l’anno venturo), se le stime dell’Ocse si riveleranno corrette. Nel complesso solo quest’anno un 10% abbondante di ricchezza nazionale sarà così stata “bruciata” dall’effetto congiunto della crisi economica e del rigore che il premier Monti ha voluto/dovuto seguire stante i rigidi limiti imposti all’Italia dalla sua adesione alla comunità europea oltre che dal peso del proprio debito pregresso. 

Ancora una volta è evidente come l’attuale ricetta di ispirazione “tedesca” sia di per sé insufficiente a farci risalire la china, nonostante l’ottimismo continuamente professato dallo stesso Monti, che a suo merito può in parte ascrivere il calo degli spread tra i titoli di stato italiani e tedeschi attorno al 3%, la metà circa del livello a cui si trovavano all’attuo del suo insediamento a Palazzo Chigi. Una riduzione che, calcoli alla mano, dovrebbe aver alleviato il conto sul debito pubblico di circa 25 miliardi di euro, ma chi sperasse che questo “tesoretto” possa essere girato a breve in nuova spesa pubblica per cercare di far ripartire la crescita è destinato a rimanere deluso, come ha ancora due giorni fa ricordato il ministro dell’Economia e finanza, Vittorio Grilli. 

“Non è previsto da nessuna regola contabile, e tanto meno dalle regole Ue, che si possano anticipare gli eventuali risparmi sui tassi d’interesse”, per loro natura troppo legati a “fattori volatili”, ha spiegato Grilli. Così non resta che una sola vera via d’uscita per evitare di fare la fine della Grecia o della Spagna: riuscire a convincere i partner europei (Germania in testa) della necessità di trasferire le eccedenze di capitali dal Nord al Sud del vecchio continente, andando a colmare quella “frammentazione dei mercati finanziari” più volte stigmatizzata da Mario Draghi, il numero uno della Bce la cui determinazione è finora servita per acquistare tempo ed evitare salassi ancora più repentini e dolorosi per i cittadini dei PIIGS europei.

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