lunedì 15 ottobre 2012

MERCATO IMMBOLIARE NEGLI STATI UNITI

Il mercato immobiliare negli stati uniti (USA) :

«Il mercato delle case ha girato l'angolo». Parola di James Dimon, numero uno della Jp Morgan. Dichiarazione che fa il paio con quella del collega di Wells Fargo, Tim Sloan: «Crediamo che ci sia una svolta». C'è da crederci se queste parole arrivano da due istituti che messi insieme controllano oggi il 44% (fonte Inside mortgage finance) dei mutui degli Stati Uniti. E che proprio grazie ai mutui hanno alzato i margini nei conti del terzo trimestre annunciati nei giorni scorsi (i profitti anno su anno di Jp Morgan sono cresciuti del 34% a 5,71 miliardi di dollari e quelli di Wells Fargo del 22% a 4,94 miliardi).

A spingere il settore è in particolare la domanda di rifinanziamenti. Profittando dei tassi di interesse praticamente azzerati dalla Federal Reserve (compresi in un range che va dallo 0 allo 0,25% «almeno fino al 2014») molti mutuatari stanno rinegoziando il vecchio contratto, magari chiedendo anche nuova liquidità. Secondo Jp Morgan, infatti, il 75% dei volumi sui prestiti generati nel terzo trimestre deriva da operazioni di rifinanziamento (il 72% per Wells Fargo).

Già, la liquidità. Ed è proprio questa la chiave di tutto. Da quando a fine settembre la Federal Reserve ha annunciato il terzo round di quantitative easing (allentamento monetario) sono tornate rose e fiori nel mercato delle case e, a ruota, in quello dei mutui. Perché la Banca centrale degli Stati Uniti ha annunciato che acquisterà 40 miliardi di mutui-bond (derivati sui mutui) al mese attraverso nuova moneta fresca di zecca.

Questa notizia ha ridato il là al mercato delle cartolarizzazioni di mutui, ovvero all'impacchettamento dei crediti ipotecari in prodotti derivati agganciati ai mutui che vengono acquistati direttamente dalla Fed. Con una conseguenza positiva (quella auspicata dalla Fed): ovvero far ripartire la domanda delle famiglie e il mercato immobiliare. Ma c'è anche il brutto lato della medaglia: alle banche (concentrate sui profitti immediati) interessa vendere contratti derivati a più non posso (dato che dall'altro lato è la stessa Fed a comprarli) e quindi c'è meno interesse a selezionare la clientela, in base al merito creditizio. Ed ecco che rispunta l'ombra dei mutui subprime, quelli concessi (a tasso variabile) a categorie meno abbienti.

In sostanza, in questa fase si stanno ricreando le stesse condizioni che hanno generato nel 2007 lo scoppio della bolla dei mutui subprime negli Stati Uniti (poi deflagrata nell'Eurozona alimentando la crisi dei debiti sovrani europei con Stati costretti a implementare drammatiche misure di deleveraging pubblico dopo che le casse statali sono state utilizzate per salvare banche disastrate proprio dalla perdita di valore dei derivati sui mutui subprime acquistati dagli Usa).

In questo corso e ricorso storico i tassi sono bassi (anzi di più) come a inizio 2000 (quando ha iniziato a gonfiarsi la bolla subprime). E le banche hanno ripreso a concedere credito facile (quindi anche alle categorie meno agiate). Una miscela che potrebbe risultare nuovamente esplosiva, se non verrà posto un freno dalle autorità alle erogazioni subprime e all'impacchettamento delle stesse in titoli derivati.

Ma al momento ci si sta concentrando sugli effetti positivi della ripartenza del mercato immobiliare (come dimostrato dall'indice case Shiller, che misura l'andamento dei prezzi nelle 20 più importanti città degli Stati Uniti). Mercato immobiliare che vede anche una corsa al rialzo dei prezzi delle case di lusso con acquisti che paradossalmente crescono al crescere del valore degli immobili.

Ci si sta concentrando meno sui rischi impliciti del fatto che questa ripartenza è in parte drogata dalla massiccia iniezione di liquidità della Federal Reserve, destinata clamorosamente proprio verso i prodotti derivati che sono stati l'origine della crisi che da cinque anni impazza nell'Occidente.

L'unica grande differenza per gli europei rispetto alla precedente bolla è che questa volta è la Fed che sta acquistando i derivati (tra cui anche quelli sui mutui subprime destinati a diventare con ogni probabilità titoli spazzatura) e non (perlomeno ci si augura) le banche del Vecchio Continente.

C'è una differenza anche per i cittadini statunitensi. Nella bolla subprime 2.0 manca lo spot di Alan Greenspan (allora governatore della Federal Reserve) che diceva ai cittadini che la loro casa era la loro banca (incentivando così a chiedere prestiti ipotecando il proprio immobile). Uno spot che tutti coloro che, a causa del rialzo dei tassi dal 2004 al 2006 non hanno più potuto pagare i prestiti vedendosi di conseguenza pignorare l'immobile, non dimenticheranno mai. Così come non potranno dimenticare lo sceriffo di turno a cui sono stati costretti a consegnare le chiavi di quella che, prima della bolla, era semplicemente la loro casa.

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