Il mercato immobiliare negli stati uniti (USA) :
«Il mercato delle case ha girato l'angolo». Parola di James Dimon,
numero uno della Jp Morgan. Dichiarazione che fa il paio con quella del
collega di Wells Fargo, Tim Sloan: «Crediamo che ci sia una svolta». C'è
da crederci se queste parole arrivano da due istituti che messi insieme
controllano oggi il 44% (fonte Inside mortgage finance) dei mutui degli
Stati Uniti. E che proprio grazie ai mutui hanno alzato i margini nei
conti del terzo trimestre annunciati nei giorni scorsi (i profitti anno
su anno di Jp Morgan sono cresciuti del 34% a 5,71 miliardi di dollari e
quelli di Wells Fargo del 22% a 4,94 miliardi).
A spingere il settore è in particolare la domanda di rifinanziamenti.
Profittando dei tassi di interesse praticamente azzerati dalla Federal
Reserve (compresi in un range che va dallo 0 allo 0,25% «almeno fino al
2014») molti mutuatari stanno rinegoziando il vecchio contratto, magari
chiedendo anche nuova liquidità. Secondo Jp Morgan, infatti, il 75% dei
volumi sui prestiti generati nel terzo trimestre deriva da operazioni di
rifinanziamento (il 72% per Wells Fargo).
Già, la liquidità. Ed è proprio questa la chiave di tutto. Da quando a
fine settembre la Federal Reserve ha annunciato il terzo round di
quantitative easing (allentamento monetario) sono tornate rose e fiori
nel mercato delle case e, a ruota, in quello dei mutui. Perché la Banca
centrale degli Stati Uniti ha annunciato che acquisterà 40 miliardi di
mutui-bond (derivati sui mutui) al mese attraverso nuova moneta fresca
di zecca.
Questa notizia ha ridato il là al mercato delle cartolarizzazioni di
mutui, ovvero all'impacchettamento dei crediti ipotecari in prodotti
derivati agganciati ai mutui che vengono acquistati direttamente dalla
Fed. Con una conseguenza positiva (quella auspicata dalla Fed): ovvero
far ripartire la domanda delle famiglie e il mercato immobiliare. Ma c'è
anche il brutto lato della medaglia: alle banche (concentrate sui
profitti immediati) interessa vendere contratti derivati a più non posso
(dato che dall'altro lato è la stessa Fed a comprarli) e quindi c'è
meno interesse a selezionare la clientela, in base al merito creditizio.
Ed ecco che rispunta l'ombra dei mutui subprime, quelli concessi (a
tasso variabile) a categorie meno abbienti.
In sostanza, in questa fase si stanno ricreando le stesse condizioni
che hanno generato nel 2007 lo scoppio della bolla dei mutui subprime
negli Stati Uniti (poi deflagrata nell'Eurozona alimentando la crisi dei
debiti sovrani europei con Stati costretti a implementare drammatiche
misure di deleveraging pubblico dopo che le casse statali sono state
utilizzate per salvare banche disastrate proprio dalla perdita di valore
dei derivati sui mutui subprime acquistati dagli Usa).
In questo corso e ricorso storico i tassi sono bassi (anzi di più)
come a inizio 2000 (quando ha iniziato a gonfiarsi la bolla subprime). E
le banche hanno ripreso a concedere credito facile (quindi anche alle
categorie meno agiate). Una miscela che potrebbe risultare nuovamente
esplosiva, se non verrà posto un freno dalle autorità alle erogazioni
subprime e all'impacchettamento delle stesse in titoli derivati.
Ma al momento ci si sta concentrando sugli effetti positivi della ripartenza del mercato immobiliare (come dimostrato dall'indice case Shiller,
che misura l'andamento dei prezzi nelle 20 più importanti città degli
Stati Uniti). Mercato immobiliare che vede anche una corsa al rialzo dei
prezzi delle case di lusso con acquisti che paradossalmente crescono al
crescere del valore degli immobili.
Ci si sta concentrando meno sui rischi impliciti del fatto che questa
ripartenza è in parte drogata dalla massiccia iniezione di liquidità
della Federal Reserve, destinata clamorosamente proprio verso i prodotti
derivati che sono stati l'origine della crisi che da cinque anni
impazza nell'Occidente.
L'unica grande differenza per gli europei rispetto alla precedente
bolla è che questa volta è la Fed che sta acquistando i derivati (tra
cui anche quelli sui mutui subprime destinati a diventare con ogni
probabilità titoli spazzatura) e non (perlomeno ci si augura) le banche
del Vecchio Continente.
C'è una differenza anche per i cittadini statunitensi. Nella bolla
subprime 2.0 manca lo spot di Alan Greenspan (allora governatore della
Federal Reserve) che diceva ai cittadini che la loro casa era la loro
banca (incentivando così a chiedere prestiti ipotecando il proprio
immobile). Uno spot che tutti coloro che, a causa del rialzo dei tassi
dal 2004 al 2006 non hanno più potuto pagare i prestiti vedendosi di
conseguenza pignorare l'immobile, non dimenticheranno mai. Così come non
potranno dimenticare lo sceriffo di turno a cui sono stati costretti a
consegnare le chiavi di quella che, prima della bolla, era semplicemente
la loro casa.
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