lunedì 15 ottobre 2012

OBAMA E/O ROMNEY

Un'elezione presidenziale decisamente anomala. Quella che si svolgerà il 6 novembre per rinnovare la guida della prima potenza economica mondiale avviene in un contesto congiunturale senza precedenti, rispetto al recente passato.

Per quasi tre anni la disoccupazione è rimasta al di sopra dell'8% e la ripresa che è in corso è tra le più basse degli ultimi 50 anni. Se a questo aggiungiamo un indebitamento pubblico lordo quasi al 100% del Pil, viene fuori il ritratto di una nazione fragile economicamente e con stretti margini di manovra sul Fisco.

I sondaggi degli ultimi giorni rilanciano il testa a testa tra Romney e Obama, ma chiunque dei due vinca non sono da prevedere cambiamenti radicali. «Il merito di Obama - commenta Donatella Principe, head of istitutional business di Schroders Italia - è di non aver adottato piani di austerity come in Europa, evitando tensioni sociali. Però l'elettore medio guarda all'economia reale e i risultati sono stati deludenti in questi 4 anni a partire proprio dalla disoccupazione. Questo non depone a favore del presidente uscente. Il mercato immobiliare se ha avuto ripresa è poi grazie al Qe della Fed e non certo per la spinta legislativa».

Obama punterà a mantenere un ruolo più forte dello Stato mentre Romney cercherà di attuare politiche più liberiste. Il tutto senza grandi stravolgimenti. «Non c'è molto spazio per politiche fiscali di spesa - spiega Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos partners - infatti nessuno dei due candidati propone interventi di spesa pubblica. Se vince Obama crescono le tasse mentre se vince Romney ci sarà un taglio delle imposte e delle detrazioni. Ma complessivamente non ci saranno variazioni macro enormi. Soprattutto la vittoria dei Repubblicani potrebbe fare salire nei giorni successivi il mercato azionario mentre il mood è più negativo verso una riconferma di Obama».

Quello che gli operatori finanziari temono è la cosiddetta "anatra zoppa", ovvero il presidente di uno schieramento e il Congresso il mano all'altro partito. Il 6 novembre si svolgeranno infatti anche le elezioni per il rinnovo della Camera dei rappresentanti e di parte del Senato. Un'impasse tra esecutivo e parlamento potrebbe innervosire i mercati. La migliore strategia, come ricorda un report di Janus Capital, è quella di affrontare questi appuntamenti con la massima diversificazione.

Uno dei primi banchi di prova del nuovo presidente sarà quello del cosiddetto fiscal cliff, ovvero la scadenza dei tagli fiscali dell'era Bush. Si tratta di misure che rappresentano circa un 1,7% di Pil. Romney punta alla conferma. Obama farà di tutto per non stopparli, anche se potrebbe rinviare la scadenza. Come ricorda iShares in un report, dal 7 novembre un risultato elettorale inconcludente potrebbe creare un caso Stati Uniti. Come reagiranno allora i mercati? E soprattutto, come reagirà il dollaro: con mercati finanziari sempre più correlati un rialzo o un ribasso del dollaro potrebbe avere effetti a cascata su azioni, bond e materie prime. Gli analisti, comunque, non prevedono scossoni: probabilmente solo con Romney il biglietto verde potrebbe rimbalzare nel breve. «Al di là di alcune reazioni momentanee - continua Principe - la politica del dollaro debole andrà avanti. Con un mercato del lavoro che continua a soffrire, gli Usa hanno bisogno del canale delle esportazioni per sostenere il manifatturiero. Forse con Romney il biglietto verde potrebbe rafforzarsi nel breve, ma non è detto. Non mi aspetto quindi ricadute particolari sull'euro, che non si è indebolito perché la Germania ha posto il veto all'entrata dell'Europa nella guerra delle valute». 

Per Gabriele Vedani, managing director di Fxcm Italia, «le probabilità che i repubblicani, in caso di vittoria, facciano pressioni sulla banca centrale affinché vengano drasticamente cambiate le condizioni economiche, sono piuttosto marginali. In generale le amministrazioni repubblicane hanno spinto il dollaro al rialzo, grazie al loro mix di liberismo economico e prudenza fiscale. Sinceramente, il quadro congiunturale americano e globale mi sembra attualmente lontano anni luce da un paradigma di questo tipo».

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