sabato 17 novembre 2012

CREDITO ITALIANO


Credito tricolore/ Banche nel mirino dei big stranieri. I conti stimolano gli appetiti esteri...

Doppiato lo scoglio dei risultati dei primi nove mesi dell'anno, che quadro emerge per il settore bancario italiano e che prospettive sembrano attendere i principali istituti tricolori alla luce dell'attuale scenario macroeconomico e di politica monetaria nel vecchio continente? Anzitutto a scorrere i dati delle relazioni pubblicate e a guardare la valutazione espressa dai mercati, salta all'occhio come se si tolgono Intesa Sanpaolo (20,14 miliardi di euro di capitalizzazione) e UniCredit (19,36 miliardi), gli istituti italiani più che "pesi piuma" sembrino dei nanetti al confronto con la stazza dei concorrenti europei.

Anche non tenendo conto dei tre "campionissimi" come Barclays (che ormai viaggi attorno ai 147,6 miliardi di capitalizzazione), Hsbc (oltre 143 miliardi di euro di capitalizzazione per il maggior istituto del vecchio continente in termini di asset) e Credit Suisse (sopra i 102,5 miliardi), i due campioni italiani possono sperare di battersi ad armi pari giusto con Societe Generale (18,62 miliardi di capitalizzazione), Credit Agricole (13,78 miliardi) o Commerzbank (7,31 miliardi) in caso di future operazioni di fusione o acquisizione a livello continentale, mentre in tutti gli altri casi lo scontro sarebbe impari (il Bbva, il più "piccolo" tra le "grandi" d'Europa, capitalizza comunque oltre 28,8 miliardi di euro).

Alle spalle di UniCredit e Intesa Sanpaolo la situazione è ancora più deprimente: Ubi Banca è ormai la terza banca italiana per capitalizzazione con 2,45 miliardi, avendo scavalcato Mps (2,3 miliardi), Banco Popolare (1,95 miliardi), Banca Carige (1,41 miliardi), Bper (1,36 miliardi), Popolare Sondrio (1,25 miliardi), Bpm (1,21 miliardi) e il Credem (che con 1,08 miliardi chiude la corta classifica di istituti italiani che capitalizzano oltre il miliardo di euro). Ancora più in giù il Credito Bergamasco (circa 882 milioni), per poi cadere col Credito Valtellinese, Banco di Sardegna e Banco Desio rispettivamente attorno ai 386, ai 364 e ai 248 milioni.
Bruscolini per istituti delle dimensioni del Santander (52,41 miliardi), Bnp Paribas (49,24 miliardi) o Ubs (43,83 miliardi), che con Deutsche Bank (30,33 miliardi) restano dunque i potenziali predatori nel momento in cui, passata la crisi, dovesse tornare di moda il "risiko" bancario all'interno del vecchio continente. Prima che ciò avvenga, peraltro, passeranno probabilmente ancora diversi trimestri visto che i conti dei nostri istituti (e di quelli europei) per quanto in progressivo miglioramento mostrano ancora parecchi punti di debolezza, eredità della fase di espansione che ha preceduto al crisi del 2008-2009 e poi del debito sovrano europeo, crisi che ha portato gli istituti a restringere il credito e tagliare la leva finanziaria.

Un processo, quello del deleveraging, che sembra dover durare ancora a lungo visto l'andamento dei crediti deteriorati (ossia in sofferenza, incagliati, o ristrutturati e scaduti/sconfinanti) e il rapporto tra depositi e prestiti. Se a livello di sistema siamo arrivati a 117,6 miliardi di sofferenze a fine settembre, le prime sei banche presentavano alla stessa data crediti deteriorati per 113 miliardi di euro, pari all'8,66% dei propri crediti totali. Via Nazionale sembra per ora escludere un approccio sistemico al problema: non vi è alle porte alcuna "bad bank" sull'esempio di quella spagnola, insomma, ma eventuali interventi mirati banca per banca (anche perché al momento il mercato delle cessioni di portafogli in sofferenze è bloccato).

F o n t e : libero.it