venerdì 30 novembre 2012

OUTLET, SCONTI E SVENDITE

Outlet, sconti, svendite. In un momento economico difficile come questo capita sempre più spesso di voler cercare un modo per fare acquisti di qualità a prezzi vantaggiosi; allo stesso tempo, proprio per effetto della crisi, i commercianti stessi si ritrovano con capi invenduti e ormai fuori collezione.

Per far quadrare le esigenze di tutti sono nati gli Outlet, singoli punti vendita o grandi centri commerciali in cui i prodotti della collezione ‘scaduta’ vengono venduti a prezzi fortemente concorrenziali.
 
Il più imponente d’Italia si trova a Serravalle Scrivia( fa capo, come altri sparsi per lo Stivale al colosso McArthurGlen). La caratteristica principale di questi spazi è che vi si trovano prodotti venduti al dettaglio di marche più o meno famose a prezzi notevolmente convenienti rispetto al commercio consueto.

Si tratta di capi minimamente fallati o appartenenti al catalogo dell’anno precedente che vengono venduti a prezzi sensibilmente inferiori (a volte lo sconto supera il 50 % del prezzo di vendita).

Il sistema giova a tutti: ai produttori, che riescono a cedere i prodotti invenduti o difettosi che altrimenti sarebbero destinati al macero, e al consumatore che può fare shopping di ogni tipo (capi d'abbigliamento o scarpe, oggetti di design o alimentari, articoli sportivi, mobili, accessori ecc.) a prezzi convenienti.

Il fenomeno Outlet, arrivato in Italia dall’estero all’inizio degli anni 2000, ha preso rapidamente piede e oggi pressocchè ogni marca di design o alta moda ha un suo canale dedicato. Non bisogna però confondere gli Outlet con gli spacci aziendali che sono i negozi interni alle fabbriche e possono essere sia aperti al pubblico che riservati ai soli dipendeti.

Un altro modo per fare acquisti a prezzi inferiori rispetto a quelli di vendita normale, è quello di seguire le svendite o le vendite promozionali, che sono cosa diversa dai saldi.

Infatti, mentre questi ultimi sono regolati dalle norme delle singole regioni, che ne decidono inizio e durata, le vendite promozionali e le svendite sono decise dal commericiante stesso, che può farle a sua discrezione (purchè non in concomitanza con il periodo di  saldi e delle Feste) dopo averne dato comunicazione alle autorità comunali.

Le vendite promozionali hanno lo scopo di agevolare la vendita di uno, più o tutti i prodotti della gamma merceologica trattata, applicando sconti o ribassi sul prezzo normale di vendita, per un periodo limitato di tempo, mentre le liquidazioni (o svendite), poi, sono un tipo particolare di vendita a prezzo vantaggioso dovuto al trasferimento, cessazione o rinnovo locali dell’esercizio in questione, in occasione dei quali i comericanti mettono in vendita i loro prodotti a un perezzo ridotto (in alcuni casi sottocosto) per svuotare i locali.

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PRENOTARE UN VIAGGIO

Agli italiani viaggiare piace e molto. E ognuno lo fa a suo modo, e con uno stile influenzato certamente dagli orientamenti culturali, dalle abitudini e dai gusti personali. Un dato però è certo: chi viaggia naviga anche molto in Rete, dove è ormai prassi comune acquistare i biglietti di treni ed aerei o comprare e regalare pacchetti vacanze, un “bene” che fa furore fra quelli online.

I più tradizionalisti si rivolgono alle agenzie, ma in tutti i casi l’obiettivo è ottimizzare le spese ed evitare danni. Prenotare un viaggio infatti nasconde rischi e insidie che è bene saper evitare con metodo, al fine di non restare delusi o vittime di raggiri. Ecco qualche consiglio.

Assicurati: in tutti i sensi
Preparare bene un viaggio richiede lungimiranza a partire dalla copertura assicurativa, che la vostra stessa assicurazione, o la compagnia di viaggio, di certo vi saprà indicare. Un viaggio è un evento lieto, ma, a meno che non sia un weekend fuori porta, richiede anche pragmatismo e previdenza. L’assicurazione delle spese di annullamento viaggio vi tutela in caso di malattia imprevista che vi costringe a stare a casa. L’assicurazione malattia e incidenti vale in parte anche per altri paesi europei; ma se partite per lidi lontani, meglio un’assicurazione complementare. L’assicurazione per i bagagli è di solito compresa nell’assicurazione mobiliare privata. Informatevi sulle vaccinazioni necessarie per soggiornare sereni in alcuni paesi, e non abbiate il braccino corto nello stipulare contratti con le assicurazioni senza costi aggiuntivi proposti dalle agenzie.

Prenotate con accortezza
Le prenotazioni online sono sempre più diffuse. Ma se fate tutto in autonomia, fate attenzione massima, dal punto di vista della correttezza e della completezza, ai dati immessi nel sistema. Annullare un biglietto comporta spese extra; tenete alta la guardia, tanto più se viaggiate molto e prenotate con costanza: l’automatismo, spesso, induce in errore. In un’agenzia viaggi le informazioni prima delle prenotazioni sono gratuite. Solo quando indicate chiaramente che desiderate prenotare e il tour operator conferma la prenotazione, questa diventa vincolante. In tal caso, occhio all’esattezza di orari, date, e nominativi sui documenti di viaggio. Verificare inoltre che sui voucher siano indicati tutti i servizi prenotati (hotel, escursioni, trasferimenti, ecc.).

Fate valere i diritti del consumatore
Verba volant, scripta manent. I dépliants e gli opuscoli illustrativi non sono solo un insieme di immagini con cui rifarsi gli occhi, ma soprattutto uno strumento importante per vedere in maniera chiara e precisa prezzi, mezzi di trasporto e classificazione degli hotel. Pretendeteli perché è il Codice del Consumo a stabilire che l’opuscolo fornisca informazioni chiare e che sia dato al consumatore dal venditore.

I pacchetti possono nascondere brutte soprese
Comprare online è comodo e ormai tutti si lanciano a caccia di offerte, ma, quando si tratta di pacchetti online per viaggi, l’attendibilità del sito in cui fate acquisti è decisiva. Il feedback di altri utenti può aiutare, perché in certi settori, come il commercio, le opinioni e le critiche difficilmente sono casuali. Decisiva, per evitare sgradevoli sorprese, è anche la prova empirica: telefonate personalmente ai numeri di riferimento. Chi compra un pacchetto turistico ha diritto a una copia del contratto che descriva con precisione gli elementi dello stesso.

Il tempo è denaro: occhio alle tempistiche
I cambiamenti di prezzo finale possono far parte del contratto, ma il cliente lo deve sapere con almeno 20 giorni di anticipo. Gli aumenti possono avere giusta causa (costo dei trasporti, tasse di imbarco e sbarco, oscillazione dei cambi) ma non nei 20 giorni che precedono la partenza. Se l’aumento supera il 10% si può rinunciare al viaggio, ottenendo la restituzione di quanto versato, oppure fruire di un diverso pacchetto con conguaglio della differenza se esso è di minor valore. Le modifiche ai pacchetti vanno comunicate per iscritto. Anche i diritti a eventuali risarcimenti hanno una loro road map: la raccomandata con ricevuta di ritorno da inviare al tour operator o all’agenzia, per essere risarciti di eventuali disservizi, va inviata tassativamente entro dieci giorni lavorativi dalla data del rientro. Nel caso si fosse coperti da polizza assicurativa, i diritti derivanti dal contratto si prescrivono entro un anno dal giorno in cui si è verificato il fatto. Siate celeri anche quando, vittime di incidenti o di malattie in loco, sarete costretti a chiamare il servizio di emergenza  della vostra assicurazione viaggi.

Occhio alla coerenza dell’insieme
Si fa presto a dire fregatura. Ma spetta anche a chi prenota fare le sue valutazioni. Prendiamo un caso tipico, l’agriturismo, una delle mete privilegiate da chi cerca una vacanza all’insegna della natura e del buon cibo, con prodotti agroalimentari tipici del territorio. Fatevi delle domande: se l’estensione territoriale dell’agriturismo è piccola, difficilmente i prodotti saranno tutti figli della terra; se i coperti sono centinaia, è difficile credere che sia una struttura raffinata e genuina. Infine, insospettitevi anche grazie ai dettagli: un agriturismo sito in una zona industriale o vicino a una centrale elettrica non è il massimo della coerenza.

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COMPRARE REGALI

Volete essere felici? Fate un regalo agli altri. A sostenere che donare genera felicità non è soltanto il buon senso ma la scienza. Da una ricerca condotta da due studiose della University of British Columbia di Vancouver, Elizabeth Dunn e Lara Aknin, e da un esperto di marketing della Harvard Business School, Michael Norton, emerge che la felicità procurata da un regalo fatto ad altre persone è maggiore rispetto a quella che può derivare dallo spendere soldi per se stessi.

L’ipotesi di partenza dello studio è che la felicità non dipende tanto da situazioni permanenti, come il reddito, una voce sostanzialmente stabile per un lavoratore dipendente, quanto dalle attività e dalle scelte, anche di consumo, che si fanno ogni giorno. L’indagine ha coinvolto un campione di 632 persone, negli Stati Uniti, a cui è stato chiesto di associare il livello di felicità a ogni scelta di spesa. Gli accademici hanno scoperto che la maggior parte dei consumi fatti per sé non produceva livelli alti di soddisfazione, mentre la spesa fatta per gli altri era associata a livelli alti di felicità, che cresceva all’aumento del consumo per il prossimo. In altre parole, dei doni.

A questo tipo di impostazione, gli studiosi hanno aggiunto un altro esperimento: hanno donato dei bonus di lavoro ai dipendenti di una compagnia e hanno verificato se si dichiaravano più felici i lavoratori che volevano spendere quella quota per se stessi oppure donando quei soldi ad amici e parenti o in beneficenza. Anche in questo caso è stato rilevato che i maggiori livelli di felicità erano previsti per il donare e non per il comprare per sé.

L’indagine non si è fermata qui, anche perché non basta una correlazione tra due elementi a provare un rapporto di causa-effetto. Gli scienziati hanno creato casualmente due sottogruppi: uno obbligato a spendere una quota per se stessi e l’altro costretto a spendere soldi per gli altri. A ciascuno dei membri del gruppo sono stati dati rispettivamente 20 o 5 dollari da spendere entro la fine della giornata. Prima e dopo l’esperimento è stato chiesto di misurare i livelli di felicità per ogni scelta di acquisto.  Anche in questa situazione è emerso che la spesa fatta in favore degli altri ha generato più benessere che quella per sé, a prescindere dalla cifra impiegata (5 o 20 dollari). 

Farsi dei doni può senza dubbio aiutare e avere effetti benefici sull’umore. Ma la vera chiave per la felicità, quando si tratta di scegliere come spendere il proprio denaro, è fare regali alle persone a cui si vuole bene. Se lo afferma anche la scienza, c’è da crederci 

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GRUPPI D'ACQUISTO

Sfidare la crisi e risparmiare senza rinunciare alla qualità? E' possibile con il social shopping, detto anche social buying che, grazie a tutta una serie di offerte con prezzi ribassati (detti deal, ossia “affari”), permette di fare acquisti  con sconti fino all’80%. Dodici mesi di palestra alla “modica” cifra di 200 euro, cene per due con degustazioni al 70% in meno, una batteria di pentole in ceramica con un prezzo praticamente uguale a quello di fabbrica e, ancora, viaggi all’estero con hotel e aereo compreso a prezzi che di solito è difficile trovare, un iPad a 100 euro in meno di quanto lo si trovi nei negozi: sono solo alcune delle tante promozioni che offrono i siti di social shopping  (come Groupon, Groupalia, Let’s bonus, Glamoo, Prezzo Felice, solo per citarne alcuni).

Come funziona? Basta andare sui vari siti e cercare quello che più interessa o registrarsi – e così risparmiare tempo – per ricevere le varie offerte via posta elettronica con una frequenza che di solito è giornaliera. Al momento della registrazione si possono anche indicare le proprie preferenze sia sulle promozioni che si desidera ricevere che soprattutto sulla città o sulle città di interesse. In questo modo, quello che arriverà via mail riguarderà per lo più offerte di cui è possibile approfittare facilmente perché legate al posto in cui si vive o in cui magari si va spesso per lavoro o altro.

I siti di social buying poi sfruttano al meglio tutti i media e anche i vari device. Non solo e-mail per essere sempre aggiornati: ci si può iscrivere alle varie pagine dei social network, spesso anch’esse “localizzate”  (ossia che riguardano determinate località) o scaricare le app per smartphone e tablet e così consultare tutte le offerte ogni volta che si vuole. E non finisce qui: per fare i vari confronti ed evitare di aprire più pagine contemporaneamente e soprattutto per trovare sempre l’offerta migliore, esistono i cosiddetti aggregatori che mettono insieme le promozioni che vengono da diverse fonti, divise per città di appartenenza o settore. Qualche nome? Tuttodeal, Dealcollector o Yunait (yunai.it).

Oltre che offrire tanti sconti su prodotti reali, il social shopping è abbastanza semplice e immediato. Una volta individuata l’offerta e dopo avere letto tutte le caratteristiche e condizioni, basta avere con sé una carta di credito – ma va bene anche una carta prepagata su cui mettere solo l’importo desiderato – e procedere con il comprare ciò che si è individuato. Per alcuni prodotti l’acquisto è immediato, per altri bisogna raggiungere il numero minimo di acquirenti quindi c’è da aspettare qualche ora o qualche giorno perché venga confermato.

Una volta che tutto è andato a buon fine, sulla propria casella di posta elettronica si riceve il coupon su cui è indicata la data di scadenza per usufruire dell’eventuale cena con prezzo ribassato, del viaggio o del deal per andare in palestra (la validità di solito è di sei mesi). Nel caso di oggetti, si riceve sempre conferma dell’acquisto e basta aspettare che arrivino a casa entro la scadenza prevista dal sito di social shopping. In alcuni casi, le spese di spedizione sono gratuite.

Il bello di acquistare con il social shopping consiste non solo dell’approfittare di promozioni senza dover cercare in giro per i vari negozi o “trattare” sul prezzo, ma soprattutto nel fare tutto comodamente da casa, risparmiando tempo prezioso per altro o per stare in compagnia di chi si vuole. Magari, per l’appunto, usufruendo di un deal.

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RISPARMIARE CON I SALDI

Bisognerà aspettare ancora poco più di un mese perché prendano il via, ma ai saldi ci si può preparare fin da adesso. Anzi, è proprio nel momento in cui le vetrine non sono ancora tempestate di targhette con 20-  30-  40-  50% che si deve pensare a come fare acquisti in modo intelligente evitando di portare a casa tanta roba inutile e che andrà soltanto ad affollare i nostro armadi.

Da cosa partire? Innanzitutto dall’…ordine, un buon consiglio può essere quello di approfittare del cambio stagione o appunto di un momento in cui gli sconti non sono ancora iniziati per fare l’inventario del nostro guardaroba e della nostra cabina armadio, prendendo esempio da come si fa appunto una lista della spesa. Prima di cominciare a scrivere cosa dovremo comprare al supermercato, tutti diamo un’occhiata a cosa abbiamo in casa onde evitare doppioni, che del cibo vada a male o che qualcosa manchi proprio quando serve. Lo stesso criterio vale per lo shopping in tempo di saldi: fare ordine nel guardaroba in “momenti non sospetti” aiuta a capire  cosa effettivamente ci servirà e cosa potremmo fare anche a meno di comprare.

Fatto ordine, lo step successivo è prendere carta e penna o aprire un file sul computer e scrivere cosa vi servirebbe. Se riuscite, aggiungete anche qualche altro dettaglio come perché comprereste quel determinato capo anziché un altro (“si abbina perfettamente a una giacca a fiori”) cercando di dividere cosa è veramente indispensabile e cosa no. Fatta la lista, è il momento di decidere il budget. Per fare uno shopping  intelligente è meglio stabilire la quota da spendere in negozi e centri commerciali solo quando saprete ciò che vi serve davvero così potrete capire quanto realmente potete, anzi dovete, destinare ai saldi. 

Una volta iniziati i saldi, il modo migliore per aggiudicarsi l’affare non è certamente andare in giro per negozi il giorno stesso o quello immediatamente successivo a quando i negozi hanno deciso di tagliare i prezzi. Intanto perché è una cosa che fanno in molti e rischiate di fare i vostri acquisti in negozi pieni in cui non riuscirete subito a trovare la taglia e in cui difficilmente, viste le condizioni, potrete fare un acquisto di qualità. Inoltre, molti negozianti iniziano con lo scontare poco i prodotti e arrivano al  tanto ambito 50% solo dopo alcune settimane dall’avvio dei saldi. Questo perché gli stessi proprietari ci tengono a vendere quello che hanno in magazzino. E anzi, a proposito di questo, capita spesso che nei primi giorni di saldi venga esposta merce che è appunto rimanenza non della stagione in corso ma di stagioni precedenti. Il principio è lo stesso: il negoziante approfitta della febbre da saldi sperando di riuscire a vendere le rimanenze e puntando sullo shopping “impulsivo”.

Quanto ai negozi, il consiglio è di scegliere quelli in cui siete clienti abituali. Così facendo potrete “approfittare” del feeling che magari si è creato con i commessi, oltre al fatto che riconoscerete  le collezioni della stagione in corso  e sarà difficile che compriate merce dell’anno prima. Oppure potete comprare negli outlet: si risparmia sempre in ogni mese dell’anno, ma ancora di più con i saldi.

Che compriate in negozi o outlet, non dimenticate di puntare sempre un evergreen, ossia qualcosa che non passa mai di moda. Qualche esempio? Un cappotto classico, un tailleur, un tubino o una cravatta in tinta unita. O ancora i jeans. Se resterete sul classico 5 tasche, questo, come gli altri acquisti si riveleranno un ottimo affare perché li indosserete per tanto tempo e sono capi di cui comunque si ha sempre bisogno. Infine, anche in tempo di saldi conviene affidarsi all’e-commerce. In particolare acquistando capi che non devono essere provati come borse, accessori, gioielli ecc… Anche i siti approfittano fanno sconti e può essere un’ottima occasione per comprare senza sforare il budget. Che poi è la prima regola da rispettare per uno shopping intelligente. E non solo in tempi di saldi.

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DISOCCUPAZIONE IN ITALIA

A ottobre i disoccupati sono 2 milioni e 870mila (11,1%), livello più alto dal quarto trimestre 1992. Rispetto a settembre tasso a +0,3 punti percentuali. Fra i giovani (15-24 anni) è pari al 36,5%. Cresce il part time involontario (+11,6%), lavori accettati in mancanza di impiego a tempo pieno. Frena l'inflazione a novembre. Ocse: all'Italia servirà manovra nel 2014. Istat, disoccupazione all'11,4 nel 2013 (VIDEO)

Roma, 30 nov. (Adnkronos) - A ottobre il numero dei disoccupati era di 2 milioni e 870 mila, il livello più alto dal quarto trimestre 1992. Lo comunica l'Istat, sottolineando come il dato registri un aumento del 3,3% rispetto a settembre (+93mila unità). La crescita della disoccupazione riguarda sia la componente maschile sia quella femminile. Su base annua si registra una crescita del 28,9% (+644mila unità).

Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero l'incidenza dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 36,5%, in aumento di 0,6 punti percentuali rispetto al mese precedente e di 5,8 punti nel confronto tendenziale. L'Istat ricorda come le persone fra i 15 e i 24 anni in cerca di lavoro sono 639mila e rappresentano il 10,6% della popolazione in questa fascia d'età.

A ottobre, comunica l'istituto di statistica, il tasso di disoccupazione si attesta all'11,1%, in aumento di 0,3 punti percentuali rispetto a settembre e di 2,3 punti nei dodici mesi. L'Istat segnala inoltre una sostanziale stabilità rispetto a settembre del numero di occupati, pari a 22 milioni 930mila. Su base annua si registra un calo dello 0,2% (-45mila unità).
 
Il tasso di occupazione è pari al 56,9%, in aumento di 0,1 punti percentuali nel confronto congiunturale, invariato rispetto a dodici mesi prima.
 
A ottobre inoltre l'occupazione maschile è sostanzialmente stabile in termini congiunturali mentre diminuisce su base annua (-1,4%). L'occupazione femminile cala invece dello 0,1% rispetto al mese precedente, ma aumenta dell'1,5% nei dodici mesi.
 
Il tasso di occupazione maschile, pari al 66,5%, aumenta rispetto a settembre di 0,1 punti percentuali, ma diminuisce su base annua di 0,7 punti. Quello femminile, pari al 47,5%, è stabile in termini congiunturali, presentando un aumento di 0,8 punti percentuali rispetto a dodici mesi prima.
 
Gli occupati a tempo parziale aumentano nuovamente in misura sostenuta (+11,6%, pari a 401.000 unità), ma si tratta in gran parte di part time involontario, ossia dei lavori accettati in mancanza di occasioni di impiego a tempo pieno. 
 
Parallelamente, aggiunge l'Istat, gli occupati a tempo pieno continuano a diminuire (-2%, pari a -398.000 unità). Un calo che su base annua interessa soprattutto l'occupazione dipendente a carattere permanente e il Mezzogiorno.
 
L'istituto evidenzia anche una crescita del numero dei dipendenti a termine (+3,5% pari a 83.000 unità), ma esclusivamente nelle posizioni a tempo parziale. Circa la metà dell'incremento del lavoro a termine interessa i giovani di età inferiore a 35 anni e caratterizza soprattutto il commercio e gli alberghi e ristorazione. 
 
L'incidenza dei dipendenti a termine sul totale degli occupati sale così al 10,7%. Significativo anche l'aumento dei collaboratori (+11,6%, pari a 45.000 unità), concentrato nei servizi alle imprese e nell'assistenza sociale.

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PENSIONE DA 31 CENTESIMI DI EURO AL MESE

A Torpè, in provincia di Nuoro, vive una signora che ha ben 12 figli. Maria Carroni ha 65 anni e ha dedicato alla famiglia e ai figli, di cui uno disabile. La signora dopo una vita di sacrifici ha deciso di chiedere la pensione sociale all’Inps. Che le ha prontamente risposto.

L’istituto di previdenza sociale le ha inviato a casa un assegno calcolato su misura per il suo caso. La cifra che le spetta? Ben: 31 centesimi di euro al mese.

L’incredibile storia non finisce qui. La donna si è vista recapitare dall’Istituto di previdenza 1,05 euro, perché risulta che alla donna spettino i mesi arretrati da luglio a settembre, oltre alla rata di ottobre e alla tredicesima.

"Hanno speso più di carta e francobollo. Sarebbe stato meglio se me l'avessero negata", ha commentato sconsolata la nuova pensionata sociale che, con la sua pensione non potrà nemmeno bersi un cappuccino al bar.

Forse, a condizionare i calcoli dell’Istituto Previdenziale, sono stati i redditi del marito, di 79 anni, operaio in pensione. Lui da solo riceve 1.400 euro: 700 per la pensione di vecchiaia, due assegni familiari e l’indennità di accompagnamento per un figlio disabile.

”Dopo una vita dedicata alla famiglia, questo è quello che lo Stato mi ha riconosciuto – ha aggiunto Maria Carroni – provo solo tanta rabbia e incredulità”.

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mercoledì 28 novembre 2012

INVESTIMENTI ARABI

Hanno iniziato dalla Costa Smeralda, promettendo di investirvi un miliardo di euro. E ora, gli arabi di Qatar Holding LLC, il fondo sovrano che fa capo all'emiro Hamad bin Khalifa Al Thani, pare punti ai nomi forti del lusso. Si vocifera che nel mirino ci siano Versace, Dolce&Gabbana, Pomellato, Missoni e altre aziende papabili. Il tutto, dopo che l'emiro si è preso, a luglio, Valentino Fashion group, stante la passione della moglie per l'italico marchio. Siamo destinati a vendere l'Italia a pezzi? Il problema è che per le aziende che aspirano a competere sullo scenario internazionale, ci sono poche alternative.

A spiegarlo ad Affaritaliani.it è uno degli imprenditori più illuminati su piazza, Domenico Menniti di Harmont&Blaine, il marchio del bassotto, titolare di un menswear vivace e apprezzato, cresciuto in questi anni al riparo da crisi grazie alla visione lungimirante del fondatore che, i segnali di mercato, li sa leggere con largo anticipo e che fino a oggi si è espanso nel mondo con le sue forze: Usa, Cina, area ex Unione Sovietica, paesi latino americani. Un fatturato che tiene, ora sui 62 milioni di euro, un Ebit del 6%, quindi in utile.
"Ma adesso siamo costretti a valutare vie alternative di crescita. Pensiamo alla quotazione in Borsa, anche se abbiamo spostato l'ingresso al 2016 perché la situazione dei mercati non è rosea. Siamo aperti al dialogo con potenziali partner, sempre,  ma partendo dal presupposto di cedere una minoranza delle quote societarie".  Il problema è sempre il solito, annoso ormai. "Le aziende non possono più accedere al credito ordinario, quello bancario. Nell'ultimo anno e mezzo il costo del denaro è triplicato, lo spread pagato dalle aziende è inverosimile, anche quando sono solide. E oggi, per competere sul fronte internazionale, è necessario  arrivare a una soglia strategica di almeno 200 milioni di fatturato".

Come? "L'unica via, a parte la quotazione, è il ricorso all'equity".  Perché è un fatto storico, come conferma lo stesso Menniti, che le aziende italiane soffrano di sotto capitalizzazione. "Un tempo per crescere bastava fare magazzino. Ora, con la crisi paurosa del retail, messo alle strette dal crollo dei consumi, il produttore è costretto a scendere a valle, ad aprire negozi per vendere direttamente al consumatore finale. E il costo è altissimo: il nostro negozio aperto di recente in corso Matteotti a Milano, ad esempioè costato  6 milioni di euro. Nel 2012 la quota di fatturato investita sul retail da Harmont & Blaine è stata pari al 22%. Come si fa a sostenere un ritmo costante di aperture senza una forza finanziaria alle spalle?". In più, vi è da dire che un tempo i fondi "portavano finanza e know how gestionale-operativo. Oggi portano anche mercati da aprire, essendo essi spesso asiatici, arabi".

Non ci si stupisca, quindi, se ogni giorno un pezzo di storia, di fatica imprenditoriale, viene ceduto. Non solo agli arabi: ci sono i coreani dei colossi Lg, E-land, Samsung. Ci sono i cinesi, alla ricerca forsennata di brand italiani con una storia, anche senza fatturato, che siano acquisibili al 100% per essere portati in Asia. Ogni tanto, fa capolino anche qualche grosso fondo americano. Certo, gli arabi paiono quelli più disponibili a spendere senza limiti. Ora, la Qatar Holding LLC, già proprietaria dei magazzini inglesi  Harrod's  e primo azionista di Tiffany, ha firmato un accordo con il fondo Strategico Italiano, la holding controllata dalla cassa italiana depositi e prestiti, per la costituzione di una joint venture chiamata IQ made in Italy venture.

Sul piatto, due miliardi di euro da investire in tutti i settori che rappresentano l'eccellenza italiana, dalla moda al design, dal food al lifestyle. Il problema è che, una volta acquisite al 100%, le aziende vanno portate avanti. E la vicenda Ferré insegna che una griffe, privata della sua anima e snaturata, vale più niente. Non basta un nome, non basta un logo, serve una strategia valida perché il lusso non si improvvisa. E vendere bellezza è un mestiere che richiede sensibilità, conoscenza dei mercati, capacità di dare identità al prodotto. Non tutti, anzi pochi, lo sanno fare.

F o n t e : libero.it

L'INNOVAZIONE TECNOLOGICA SI TROVA NEL WEB

Possono il web e l'innovazione tecnologica digitale essere una delle risposte alla crisi, soprattutto per le piccole e medie imprese? Molti studi autorevoli giungono proprio a questa conclusione. Ha iniziato l'Istat quando ha affermato che poco meno del 2% del PIL italiano (1,8 per la precisione) era prodotto dall'economia digitale (poco più di 32 miliardi di euro di valore, secondo Boston Consulting). Su questa riga è intervenuta la stessa Facebook che ha pubblicato uno studio secondo il quale solo il suo indotto, ovvero le imprese che usufruiscono dei servizi digitali messi a disposizione dal Social Network blu,  vale qualcosa come 2,5 miliardi di euro, solo in Italia.

Tornando al PIL digitale, i margini di crescita in Italia sono davvero ampi, se è vero che in Inghilterra e Germania, la percentuale del prodotto Interno lordo generato dai processi innovativi digitali è ben assestata intorno al 7% e, per il nostro Paese, le stime danno un 4,3% entro il 2015. I provvedimenti del Governo Monti a sostegno dell'Agenda digitale, per quanto discussi, proprio da chi sul web già ci lavora, vanno proprio nella direzione di sostenere la digitalizzazione delle aziende e della Pubblica Amministrazione.

Affaritaliani.it ha fatto un piccolo viaggio, in due puntate, per capire se e quanto sia vero che la svolta digitale possa essere un antidoto possibile alla crisi. In questa prima parte parlano i numeri e gli studi. Nella seconda invece parleranno i piccoli imprenditori che la svolta l'hanno fatta. Le sintesi  e i problemi sul tavolo verranno poi discussi in una tavola rotonda a Roma, in occasione della presentazione del Rapporto Piccole Imprese di UniCredit (guarda qui il programma), che Affaritaliani.it trasmetterà in video diretta. In quell'occasione si potranno anche porre domande direttamente ai relatori via Twitter, attraverso l'hashtag #rapportopi2012.   

Dicevamo dei numeri. Due importanti studi, uno di McKinsey e uno di Boston Consulting lasciano pochi dubbi sulla "forza" che la digitalizzazione può trasmettere alle aziende, soprattutto se piccole. Secondo l'indagine McKinsey le imprese che fanno ampio ricorso alle tecnologie web crescono più del doppio rispetto alle imprese che ne fanno poco uso. Nel periodo 2006-2009 infatti le prime registrano una crescita media annua del 13% contro il 6,2% delle seconde. A metà strada si collocano le imprese a media intensità di web (7,4%).

Risultati analoghi emergono dall'indagine Boston Consulting Group condotta su 1000 imprese italiane. Le PMI più digitalizzate presentano indicatori migliori rispetto alle altre riguardo a crescita, internazionalizzazione, occupazione e produttività.

In particolare, le imprese classificate come "online-attive" - ossia che dispongono di un sito ed effettuano attività di marketing o di vendita in Rete - hanno registrato negli ultimi tre anni un incremento annuo del fatturato dell'1,2%, contro il -2,4% delle imprese "solo-online" (ossia dotate di un sito ma che non svolgono attività di marketing o di vendita in Rete) e il -4,5% delle imprese "offline" (prive cioè anche di pagina web). Il 65% delle imprese "online-attive" ritiene di aver ottenuto vantaggi di produttività grazie alla digitalizzazione, contro il 28% di quelle "solo-online" e il 25% delle "offline". Inoltre, il 34% delle imprese "online-attive" ha aumentato negli ultimi 5 anni il personale, contro l'11% delle imprese "offline". Infine, le imprese "online-attive" mostrano un'incidenza del fatturato estero (14,7%) doppia rispetto alle "solo-online" (7,7%) e più che tripla rispetto alle "offline" (4,1%).

Numeri che lasciano pochi dubbi. Ma cosa significa "digitalizzare"? Significa effettuare un salto qualitativo rispetto al passato notevole ottenendo forti aumenti di produttività e di qualità, abbattendo i costi, a fronte di investimenti estremamemente contenuti. Le caratteristiche delle nuove tecnologie sono infatti pervasive, investono orizzontalmente tutti i settori e possono essere adottate da qualunque impresa, a prescindere dalla dimensione.

Con la digitalizzazione cambia il modo di produrre, di scambiare e di comunicare. Le modifiche organizzative dovute alle nuove tecnologie incidono profondamente su ogni fase della catena del valore aziendale e sui rapporti di lavoro, richiedendo una diversa capacità di coordinamento, più flessibile e attenta al risultato. Proprio grazie a queste caratteristiche, la digitalizzazione è unanimemente riconosciuta come un fattore propulsivo di crescita dei Paesi. La stessa Commissione europea, nell'ultimo rapporto annuale sulle PMI, enfatizza il ruolo delle imprese high-tech manifatturiere e ad alta intensità di conoscenza dei servizi nel determinare incrementi di produttività a livello globale.

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SCALATA BANCARIA BPI

Annullamento senza rinvio della sentenza d'appello del processo sulla tentata scalata della Bpi ad Antonveneta per "incompetenza territoriale" dei giudici milanesi. Questa la richiesta del Pg di Cassazione, Oscar Cedrangolo, il quale, quindi, ha sollecitato l'azzeramento dell'intero processo, con l'invio degli atti alla Procura che la Suprema Corte riterra' competente.

Se i giudici della seconda sezione penale della Suprema Corte dovessero accogliere la tesi del Pg, tutto cadra' comunque in prescrizione, i cui termini decorrono dal 12 dicembre prossimo. La Corte d'Appello di Milano, il 28 maggio scorso, aveva ridotto la pena all'ex Governatore della Banca d'Italia, Antonio Fazio (condannato a 2 anni e mezzo), agli ex vertici di Unipol Giovanni Consorte e Ivano Sacchetti (1 anno e 8 mesi) e all'ex leader della Bpi, Gianpiero Fiorani (condannato a 1 anno), e all'imprenditore Luigi Zunino (condannato a 1 anno e 6 mesi). Il Pg Cedrangolo ha sollecitato la conferma della sola condanna del fiduciario svizzero Francesco Ghioldi, condannato in appello a 4 anni e 3 mesi, per reati diversi da quelli contestati agli altri imputati.

Il processo di secondo grado aveva sensibilmente ridotto le condanne inflitte agli imputati ricorrenti dal Tribunale di Milano il 28 maggio 2011. In primo grado, infatti, Fazio era stato condannato a 4 anni, Consorte e Sacchetti a 3 anni, mentre a Fiorani era stata inflitta una pena pari a 1 anno e 8 mesi. Le accuse nei loro confronti, a vario titolo, sono aggiotaggio, ostacolo agli organismi di vigilanza e appropriazione indebita. Il Pg Cedrangolo, nella sua requisitoria, ha mostrato di condividere l'eccezione di incompetenza territoriale sollevata da tutti i difensori, secondo i quali il procedimento andava incardinato presso la Procura di Lodi.

I giudici d'Appello avevano revocato la confisca di 39,6 milioni a Unipol, condannando la societa' a pagare 230mila euro (in primo grado la somma stabilita era invece pari a 900 mila). A far ricorso in Cassazione e' oggi anche la Nuova Parva Spa, societa' condannata in appello a pagare 100 mila euro (contro i 360 mila stabiliti in primo grado).

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MOTORSHOW DI BOLOGNA 2012

Quando Inizia il Motor Show di Bolgona 2012 ?

Dal 5 dicembre ritorna il Motorshow di Bologna uno dei pochi Saloni dove il pubblico e gli appassionati possono provare e toccare con mano le ultime novità del mercato dell’auto: l’anno scorso furono oltre 45.500 i test drive effettuati al Salone e l’edizione 2012 della manifestazione, aperta al pubblico dal 5 al 9 dicembre a BolognaFiere, non farà eccezione. Anzi, in questa 37° edizione le aree esterne a disposizione dei visitatori saranno arricchite dalla presenza di numerose anteprime di prodotto per il mercato italiano.

Nove le aree esterne dell’edizione 2012 dove le maggiori case automobilistiche portano le ultime novità:

AREA 42 – SKODA: In quest’area posizionata vicino all’ingresso di Piazza Costituzione Skoda dedicherà un’area espositiva alla nuova Skoda Rapid, la berlina compatta in arrivo anche sul mercato italiano.

AREA 42/1 – FEDERAZIONE ITALIANA FUORISTRADA: E’ l’area dedicata alla FIF, che ha 250 club 4x4 sul territorio e oltre 11.000 soci. I marchi presenti saranno Mercedes-Benz, con l’intera gamma off-road firmata dai modelli GLK, M, GL e G, e Renault, con il crossover Nuovo Koleos: le caratteristiche di queste vetture saranno esaltate da uno speciale percorso off-road, molto spettacolare e creato ad hoc.

AREA 44 – RENAULT: L’area sarà suddivisa in tre poli, divisi a seconda delle caratteristiche delle vetture impiegate. Il polo sportivo con l’aggiunta di Nuova Clio, che prevede test drive a bordo di auto sportive come Nuova Twingo R.S. e Megane R.S., impegnate in prove di slalom cronometrate e test di frenata, e le prove della berlina Nuova Clio con i nuovi motori Energy1.0 TCe 90 e 1.5 dCi 90. Nel polo 4CONTROL sono in programma test drive a bordo di Laguna Coupé per presentare l’esclusivo sistema 4CONTROL a quattro ruote sterzanti ed evidenziare i benefici in termini di performance, stabilità e tenuta di strada. Nell’ambito del polo Elettrico si potrà salire a bordo dell’Urban Crosser 100% elettrico Renault Twizy, impegnato su una divertente pista tipo kart creata ad hoc. Inoltre, sull’area ci sarà un’esposizione statica di Twingo R2, vettura da rally dalle elevate prestazioni, della moto Gordini e di una Twizy Momo Design frutto di un co-marketing.

AREA 45 – SEAT: Nell’area 45, posizionata tra i padiglioni 29 e 26, il pubblico potrà effettuare test drive a bordo della nuova Seat Leon, la terza generazione della berlina compatta della Casa spagnola disponibile in anteprima italiana al Motor Show prima del lancio di gennaio nelle concessionarie.

AREA 46 – AUTOMOBILE CLUB D’ITALIA: Sarà un’area prove in cui gli istruttori dell’Automobile Club d’Italia, a bordo delle auto Mini in dotazione al Centro Guida Sicura ACI-SARA di Vallelunga, effettueranno delle dimostrazioni pratiche portando i visitatori del Motor Show a bordo delle auto per fornire istruzioni di guida sicura.

AREA 47 – FIAT: Su una spettacolare area off-road Fiat proporrà test drive sulla nuova Panda 4x4, che sarà proposta a Bologna in anteprima per il mercato italiano.

AREA 47/1 – DACIA: L’area sarà teatro di un’ambientazione off-road che consentirà ai visitatori di eseguire test drive a bordo di Duster 4x4 e di Nuova Stepway, il crossover Dacia. In esposizione statica anche la monovolume Dacia Lodgy e il multispazio Dokker, attorno ai quali sarà organizzata una divertente animazione.

AREA 49 – NISSAN:
Sarà lo spazio per la città virtuale di Juke, dove scoprire tutte le versioni del crossover compatto di Nissan: Juke Town assomiglierà ad un gigantesco igloo e la sua protagonista sarà la Juke Nismo, presentata al Motor Show in anteprima italiana. All’interno della Juke Town anche l’edizione limitata della Juke with Ministry of Sound, Juke-R, Juke 190HP Limited Edition e Juke Blade.

AREA 48 – MOTORSPORT ARENA: Il 6 e il 7 dicembre sulla pista in area 48 spazio ad Abarth Taxi Drive, alcuni test drive della gamma Abarth 500 e dei kit di elaborazione. Nissan sarà presente con test drive sulla pista della MotorSport Arena il 4, 5, 6 e 7 dicembre: le vetture a disposizione saranno Juke 190HP, 370Z, GT-R e l’esclusiva Juke-R, guidate da professionisti tra cui il pilota di F1 Vitantonio Liuzzi.

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LIBRO : FUGA DA FACEBOOK

Il titolo è tutto un programma: "Fuga da Facebook - The back home strategy". Ma è il sottotitolo del libro a suonare come un campanello d'allarme per molte aziende: "Guida alla sopravvivenza per chi pensava che bastassero i 'social' per fare marketing digitale". L'autore, fra gli addetti ai lavori del marketing, non ha bisogno di presentazioni: Marco Camisani Calzolari è un vero "guru" di internet e della comunicazione digitale, professore di comunicazione a Milano e Londra.

"Non si tratta di un attacco a Facebook, sia chiaro, ma alle pratiche di marketing sbagliate delle  aziende. Il titolo è uno slogan, ma solo a metà: il tema non è fuggire da Facebook, ma dalle pratiche sbagliate di marketing sui social media", spiega Marco Camisani Calzolari ad Affaritaliani.it.

Ma come? Ci hanno spiegato che il banner è morto, che il marketing digitale deve puntare sui social, a partire da Facebook, perché è lì che ci sono gli utenti... E ora scopriamo che è stato tutto inutile?

"Il problema non è Facebook, ma l'eccessivo entusiasmo con cui esperti di marketing e di digitale hanno spinto le aziende a spendere tutte le energie su Facebook, ridicendo enormemente o addirittura annullando quelli su sito e blog aziendale per dedicarsi alla fan page e alle strategie per portarvi utenti. Molti di quegli esperti hanno spiegato alle aziende che quella sarebbe stata la loro casa sul web, senza tenere conto del fatto che il social network non condivide con le aziende i dati degli utenti. Cosa del tutto lecita: il suo core business è aggregare il maggior numero di iscritti, mantenerne la profilazione e fare marketing e advertising per il proprio business, non per quello delle aziende che sono sulla sua piattaforma".

Però un miliardo di utenti non sono pochi: logico che facciano gola a chi cerca di raggiungere il maggior numero di persone sul web.

"Non solo: di fronte all'enorme complessità delle strategie digitali, che arrivano fino alla usabilità dell'ultima applicazione per l'ultimo device, è molto semplice affidarsi a una piattaforma che si fa carico di tutti questi aspetti tecnologici. E poi certo, su Facebook si va incontro a un miliardo di utenti, ma utenti 'potenziali': la capacità di attrarre utenti alla propria fan page dipende dalla capacità di proporre contenuti che siano interessanti per il target che si vuole raggiungere. Sul web non vale il paradigma dei media tradizionali, dove se fai pubblicità - ad esempio - all'interno di un programma tv con dieci milioni di telespettatori, quasi tutti vedranno il tuo spot".
Okay, non saranno un miliardo, ma ci sono aziende che totalizzano milioni di fan su Facebook.
"Ovvio, è facile conquistare fan e like su Facebook: basta un click. Così si fanno grandi numeri che piacciono tanto all'amministratore delegato e lo tranquillizzano sulla bontà dell'investimento per conquistare utenti sul social network. Il problema è che a fronte di quell'investimento, che va dall'adesivo sulla vetrina con l'indirizzo della fan page a più complesse strategie di digital marketing - l'azienda porta a casa ben poco, creando engagement all'interno dell'ambiente di un terzo. Consideriamo, poi, che a luglio Facebook ha introdotto i 'promoted post': se l'azienda non paga, può raggiungere al massimo il 16% circa della sua audience. Il che va benissimo: Facebook offre la piattaforma e gli utenti ed è giusto che chieda in cambio un pagamento per il servizio. Il fatto è che le aziende non ne sono così consapevoli, convinte - sempre dagli esperti di cui sopra - che Facebook consenta di raggiungere gratuitamente milioni di utenti".

Insomma, scopo del libro è aprore gli occhi ai responsabili marketing delle aziende sulle reali potenzialità di Facebook e sui relativi costi.

"E' così. Cito il caso di Dangerous Minds, che ha calcolato come, per raggiungere il 100% dei suoi 53mila fan con circa 10 post giornalieri, debba spendere quasi 700mila dollari all'anno. Insomma, parliamo di cifre decisamente importanti. Detto questo, certamente Facebook è una grandissima fonte di traffico e può essere usato proficuamente per portare gli utenti a casa, ovvero sul sito, su una newsletter a cui iscriversi, su una community. Saranno sicuramente meno dei fan e dei like su Facebook, ma se ben coltivati saranno questi i veri fan, quelli che hanno un valore reale per l'azienda: il loro 'peso specifico' è ben superiore a quello di migliaia di utenti distratti che cliccano su 'like'".

Eppure, sin dagli albori della pubblicità online, le aziende hanno sempre misurato al millimetro il ROI (ritorno degli investimenti) di ogni euro speso sul web, pesando meticolosamente ogni singolo utente raggiunto o potenzialmente raggiungibile. Perché con Facebook e i social media quelle stesse aziende sono tornate a farsi abbagliare dai numeri come se niente fosse?

"Per una ragione puramente di mercato: molte aziende si sono avvicinate ai social network con superficialità, senza investire adeguate risorse nelle studio delle loro caratteristiche. Investire in marketing su Facebook è come dare droga a un tossicodipendente: a lungo andare fa male, ma sul momento lo fai felice. Così diventa tutto semplice, il direttore marketing porta grandi numeri all'amministratore delegato, i dati del reach e dell'engagement ci sono... Tutti contenti, insomma. Peccato che nel lungo periodo questa strategia sia distruttiva, perché quei grandi numeri servono a ben poco. A meno che la tua azienda non sia un bar...".

Tutto questo vale per Facebook come per gli altri social network?

"Sì, vale anche per Twitter e le altre piattaforme più o meno verticali. E oggi è difficile convincere le aziende che le strategie su cui hanno puntato in questi ultimi anni sono distruttive, perché in quella direzione le hanno spinte presunti esperti che, in sostanza, vendono servizi legati a Facebook & C. Oggi in pratica non esistono più web agency, solo social media agency".

Marco Camisani Calzolari
"Fuga da Facebook - The back home strategy"

Ed. Carte Scoperte
Euro 9,50 (euro 3,99 in versione ebook su Book Republic)

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L'OPERA DI MONET A 44 MILIONI DI DOLLARI

Rari capolavori di Claude Monet, Wassily Kandinsky e Constantin Brancusi hanno contribuito a  realizzare lo straordinario risultato di vendita di $ 205 milioni di dollari (€ 159.744.000), raggiunto dalla Impressionist & Modern Art Evening Sale di Christie’s New York. L’asta ha visto la partecipazione di clienti da tutto il mondo e ha raggiunto un indice di vendita del 70% per lotto e del 80% in valore. Tra le 69 opere offerte, 5 lotti sono stati venduti per oltre $ 10 milioni, 10 per oltre $ 5 milioni e 31 per oltre $ 1 milione.

Il top price della serata è stato raggiunto dall’opera “Nymphéas” (The Water Lilies) di Claude Monet. Il capolavoro, venduto ad un offerente privato americano per la cifra da capogiro di 43,7 milioni di dollari ( € 34.134.750), non solo ha permesso all’artista di segnare il suo secondo record di vendita all’asta ma ha anche contribuito, insieme alla vendita dei due paesaggi impressionisti di Camille Pissarro e Alfred Sisley, al raggiungimento di un totale di vendita di 51 milioni di dollari ( 39.410.000) che verrà devoluto in beneficenza alla scuola indipendente Hackley di New York.

Un altro record è stato poi segnato dall’opera “Studie für Improvisation 8” di  Wassily Kandinsky i cui proventi di vendita pari a $23.042.500 (€ 17.973.150) sosterranno economicamente i programmi di beneficenza della Fondazione Volkart. A guidare le opere scultoree in asta è stato il capolavoro di Constantin Brancusi “Une Muse”, venduto a $12.402.500 (€ 9.673.950). Non è mancato all’appello un gruppo eccezionale di opere di Picasso, condotto da “Buste de femme” del 1937, e lavori surrealisti guidati dall’opera “Peinture” di Joan Miró (“Femme, Journal, Chien”, 1925) venduta a 13.746.500 dollari (€ 10.722.270).

Top ten
-Claude Monet, Nymphéas, 1905, venduto a $43.762.500 (€34.134.750)
-Wassily Kandinsky, Studie für Improvisation 8, 1909, venduto a $23.042.500 (€17.973.150), record mondiale di vendita per l’artista.
-Joan Miró, Peinture, (Femme, Journal, Chien),1925, venduto a $13.746.500 (€10.722.270)
-Pablo Picasso, Buste de femme,1937, venduto a $13.074.500 (€10.198.110)
-Constantin Brancusi, Une muse, 1912, venduto a $12.402.500 (€9.673.950)
-Alberto Giacometti, La Jambe,1958, venduto a $11.282.500 (€8.800.350)
-Alberto Giacometti, Tête sur tige, 1952, venduto a $6.802.500 (€5.305.950)
-Pablo Picasso, Femme au chien, 1962,  $6.354.500 (€4.956.510)
-Alberto Giacometti, Tête sans crâne, 1962, $5.570.500 (€4.344.990)
-Pablo Picasso, Tête de femme, 1952, $5.234.500 (€4.082.910)

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IPHONE PIU' COSTOSO E PREZIOSO DEL MONDO

È nei negozi da pochi mesi, ma l’iPhone 5, l’ultimo gioellino tecnologico di casa Apple, ha già fatto impazzire  i fan di Cupertino sparsi per il pianeta battendo ogni record di vendite. Da semplice cellulare a vero e proprio dettaglio di stile che suggerisce mode e tendenze, ormai sono a decine le aziende che invadono il mercato con versione impreziosite con oro e diamanti, cover e gadget di lusso, dedicati allo smartphone più amato di sempre.

La cover più preziosa al mondo
Una festa in grande stile, tenutasi presso il prestigioso Kensington Roof Gardens, per una cover davvero unica al mondo che con i suoi 303mila dollari di valore (circa 233mila euro) si aggiudica il titolo di custodia per smartphone più cara di ogni tempo.

Stiamo parlando della London Lotus iPhone Case, l’ultimissima creazione firmata da Uunique London in collaborazione con l’attrice – naturalizzata americana – Mischa Barton, che scalza dalla prima posizione la cover ideata dalla The Natural Sapphire Company di New York. Una cover in oro 18 carati, ricamata con una tempesta di rari diamanti bianchi e rosa (certificati dal Gemological Institute of America) che formano un suggestivo motivo floreale, che s’ispira all’esotico fiore di loto.  La custodia è accompagnata da una pochette in pelle su misura, progettata con una fodera in una bella combinazione di pelle di coccodrillo e di struzzo. Il tutto è posto all’interno di una scatola in legno ricavata da 3 rare querce di bosco, due varietà di radica e noce nero.

foto dal web

Seconda in classifica
Come dicevamo la seconda posizione in classifica è occupata dalla  The Natural Sapphire Company di New York. Cosa ha di speciale? Una vera esplosione di pietre preziose, oro bianco 18 carati con incastonati 2.830 zaffiri Ceylon, per un totale di 169,8 carati. Ma non solo…provate a immaginare il famoso logo della Apple ricoperto da ben 38 rubini per un totale di 2,28 carati e la foglia della mela realizzata come un unico zaffiro verde naturale a taglio marquise. Insomma, un modo per rendere il vostro smartphone ancora più esclusivo e alla moda, per un sogno di alta gioielleria a 100mila dollari (circa 77mila euro).

Se la cover è preziosa lo smartphone non è da meno
Ne è un esempio la maison Stuart Hughes pronta a lanciare una esclusiva limited edition di solo 100 esemplari. Ci sono volute settimane di lavorazione per ogni modello, ma il risultato finale è un capolavoro in oro massiccio di 128 grammi e 18 carati, con il logo tempestato da 53 bellissimi diamanti per un totale di un carato. Prezzo? £21,995.00 -  circa 27mila euro.
Guardate la gallery e gustatevi tutte le cover e prodotti per i-Phone 5 più preziosi ed esclusivi.

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martedì 27 novembre 2012

EUROZONA : GRECIA TROVA L'ACCORDO

Dopo una lunga maratona fra i 17 Paesi dell'Euro, ieri notte è stato raggiunto un sofferto e complesso accordo col Fondo monetario internazionale per salvare Grecia. Il cui debito pubblico dovrà scendere entro il 2020 al 124% rispetto al 190% attuale grazie a un mix fra tagli al debito ed erogazione di ulteriori prestiti per 43,7 miliardi da dicembre a marzo 2013. Attenzione che il via libera all’esborso avverrà il 13 dicembre, quando i parlamenti nazionali dovranno approvare le manovre. Che cosa deciderà il Bundestag, vista la guerra della Germania e dei Paesi del Nord Europa a qualunque tipo di taglio del debito? Nel frattempo, Tokyo ha festeggiato con un rialzo dello 0,37%.

Ieri l’Eurogruppo ha riconosciuto che il governo greco sta portando avanti le riforme per il risanamento dei conti come richiesto dai partner. Per tale ragione, entro dicembre verranno versati i primi 34,4 miliardi e nel primo trimestre 2013, in altre tre tranche, ulteriori 9,3 miliardi, per un totale di 43,7 miliardi. Il via libera formale all'esborso è però rinviato al 13 dicembre prossimo, quando la decisione sarà stata approvata dai parlamenti nazionali che lo prevedono (a partire dal Bundestag).

Il mix di misure che ha dato il via libera all'intesa tra eurogruppo ed Fmi prevede ''sforzi da parte di tutti'', ovvero Stati, Grecia e Fmi, ha detto il presidente dell'eurogruppo Jean Claude Juncker al termine della riunione durata oltre 12 ore. E’ previsto il taglio di 100 punti base degli interessi sui prestiti bilaterali, una riduzione di 10 punti base del costo delle garanzie che la Grecia paga al fondo salva-stati Efsf, una moratoria di 10 anni sui tassi dei prestiti concessi dal fondo salva-Stati Efsf, un'estensione di 15 anni delle scadenze dei prestiti e uno slittamento di 10 anni dei pagamenti degli interessi. Inoltre, gli Stati rinunciano ai loro profitti sui bond greci e li verseranno direttamente ad Atene in un conto bloccato.

Soddisfatto il presidente del Consiglio greco Antonis Samara: ''Tutto è andato bene. Tutti i greci insieme hanno lottato per questa decisione, e domani comincia un nuovo giorno'', ha detto ai media del Paese commentando l'accordo. Samaras ha aggiunto di aver comunicato la buona notizia ai dirigenti degli altri due partiti della coalizione governativa da lui guidata, il leader socialista Evangelos Vénizeos e quello della Sinistra democratica Fotis Kouvelis.

E anche il Fondo Monetario Internazionale (Fmi) ha applaudito alle iniziative accordate dall'Eurogruppo alla Grecia, che puntano ad appoggiare il programma di riforme economiche del Paese e contribuiscono in modo sostanziale alla sostenibilità del debito greco. Lo ha detto il direttore generale del Fmi, Christine Lagarde, in una nota, sottolineando che le misure accordate aiuteranno a portare il rapporto debito-Pil della Grecia su una traiettoria sostenibile e a facilitarne il graduale ritorno sul mercato.

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IL CANONE RAI DIVENTA OBBLIGATORIO

Parlerà tedesco la nuova normativa per il canone della Rai. Secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza, il ministero dell'Economia, che è l'azionista della televisione di Stato, sta mettendo a punto una proposta di legge per trasformare il vecchio canone di Viale Mazzini da tassa di possesso a vero contributo obbligatorio di servizio pubblico.

E la base per la nuova normativa, che punta a dare un colpo all'evasione dell'ex abbonamento, stimata dagli uffici del Tesoro al 25%, verrà mutuata da una legge che sta per entrare in vigore in Germania, dove da anni ci si trova a fronteggiare un tasso di renitenti al canone molto alto. Proprio il governo di Angela Merkel è riuscito a far passare una riforma che svincola il pagamento del servizio dal possesso effettivo dell'apparecchio tv. In altri termini, il canone viene trasformato in un «contributo infrastrutturale» che tutti i coabitanti di uno stesso alloggio sono tenuti a pagare per avere la possibilità di ricevere il segnale e godere del servizio pubblico radiotelevisivo. Su tutta la materia vigila nel Paese dei lander l'autorità di servizio tedesca (GEZ) che gestirà dal prossimo anno il «rundfunkbeitrag», appunto il contributo, con tanto di campagna di convinzione: nella home page della GEZ campeggia inquietante uno spazio intitolato proprio alle nuove modalità di pagamento (Der Rundfunkbeitrag kommt!).

La storia dell'evasione del canone alla televisione tedesca ricorda un po' quella che stanno affrontando da pochi mesi i nuovi vertici della Rai, Anna Maria Tarantola e Luigi Gubitosi, rispettivamente presidente e direttore generale. In Germania, al pari del sistema italiano, i cittadini sostengono ogni anno un canone tv pari a 215,76 euro per la visione di soli due canali pubblici (Ard e Zdf, oltre alla radio federale Deutschlandfunk). Dal 1° gennaio 2013, invece, il canone-tassa sarà sostituito da un tributo-imposta fisso per ogni residenza e questo indipendentemente dal numero o dalla presenza di un apparecchio radiotelevisivo in grado di ricevere o meno i programmi. Ai servizi di informazione pubblica, così, viene attribuito un valore culturale nazionale, più o meno quello che vuole fare il Tesoro italiano e che potrebbe prendere corpo a breve almeno come tema di discussione nei prossimi cda.

Con un provvedimento alla tedesca, il vecchio abbonamento Rai (termine che tra l'altro verrà presto bandito da tutti i siti informativi di Viale Mazzini perché ha sempre lasciato intendere una discrezionalità nel pagare o meno) di 112 euro potrebbe essere pagato in banca con un modulo F24. Su questo punto ci sarebbe già un parziale assenso tra i consiglieri del Pdl mentre la questione non è stata ancora affrontata ai massimi livelli. Qualcuno, come in Germania, potrebbe eccepire l'eventualità di incostituzionalità della norma. A Berlino il governo ha avuto l'ok da autorevoli costituzionalisti, che anzi hanno caldeggiato l'applicazione della riforma del canone televisivo, che consentirà alla Merkel di aumentare gli attuali incassi di 8-10 miliardi di euro, pizzicando gli oltre 3 milioni gli evasori stimati.

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lunedì 26 novembre 2012

DOPO I SEQUESTRI E GLI ARRESTI L'ILVA CHIUDE

L'azienda annuncia: "Il provvedimento di sequestro del Gip comporterà in modo immediato l'impossibilità di commercializzare i prodotti e la cessazione di ogni attività nonché la chiusura dello stabilimento di Taranto e di tutti gli stabilimenti del gruppo". La Fiom non ci sta: "Restate in fabbrica"

La decisione dopo i sette arresti, di cui tre in carcere decisi dalla Procura. Tra Coinvolti il vicepresidente del Gruppo, Fabio Riva, l'ex direttore del siderurgico Luigi Capogrosso, l'ex consulente Girolamo Archinà e l'ex consulente della procura Lorenzo Liberti. Indagati il presidente Ferrante e il dg Buffo. Nel mirino le pressioni sulle pubbliche amministrazioni. I dettagli

I pm: "Il diritto alla vita e il diritto alla salute non siano comprimibili dall'attività economica". Bonelli (Verdi): "Un infame chi ha svenduto la salute dei cittadini". Ferrante: "Accuse strumentali, resto al mio posto"

Il gip: "Regia di Vendola dietro le pressioni all'Arpa". Il presidente della Regione in un'intercettazione diceva ad Archinà: "Di' a Riva che non mi sono defilato"

L'OPERAZIONE DELLA FINANZA - La Guardia di finanza ha eseguito una serie di arresti e sequestri a Taranto nei riguardi dei vertici dell'Ilva e di esponenti politici nell'ambito dell'inchiesta 'Ambiente venduto'. 

Sotto la lente degli investigatori una serie di pressioni che l'Ilva avrebbe effettuato sulle pubbliche amministrazioni per ottenere provvedimenti a suo favore e ridimensionare gli effetti delle autorizzazioni ambientali.

Sono sette gli arresti effettuati in totale, quattro ai domiciliari e tre in carcere. Tra le persone raggiunte dalle misure cautelari ci sono Fabio Riva, vicepresidente del gruppo Riva e figlio di Emilio Riva (gia' ai domiciliari dal 26 luglio scorso) e fratello di Nicola Riva (anche lui ai domiciliari dal 26 luglio); Luigi Capogrosso, ex direttore del siderurgico di Taranto anche lui ai domiciliari; Michele Conserva, ex assessore all'Ambiente della provincia di Taranto dimessosi nei mesi scorsi; Girolamo Archina', ex consulente dell'Ilva, addetto ai rapporti con le pubbliche amministrazioni e licenziato dall'attuale presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, ad agosto quando emersero i primi particolari dell'inchiesta 'esplosa' oggi. La seconda ordinanza riguarda una serie di sequestri, attualmente in corso.

INDAGATI IL PRESIDENTE FERRANTE E IL DG BUFFO - Anche il presidente dell'Ilva Bruno Ferrante e il direttore generale dell'azienda, Adolfo Buffo, sono coinvolti nell'inchiesta che ha portato all'emissione di sette ordinanze di custodia cautelare e al sequestro dei prodotti finiti/semilavorati. I due dirigenti hanno ricevuto altrettanti avvisi di garanzia. In carcere sono finiti Fabio Riva, ammistratore delegato dell'Ilva, Luig Capogrosso, ex direttore delle stabilimento l'ex consulente Girolamo Archina'. Ai domiciliari invece Emilio Riva, presidente della capogruppo della Riva Fire; Lorenzo Liberti, gia' presidente della facolta' di Ingegneria ambientale dell'universita' di Taranto e Michele Conserva ex assessore all'ambiente e l'ingegner Carmelo Dellisanti della Promed Engineering. Il sequestro preventivo riguarda i prodotti finiti/semilavorati realizzati, in violazione delle misure cautelari adottate a luglio.

ARRESTATI ACCUSATI DI CORRUZIONE E ASSOCIAZIONE DELINQUERE - Sette arresti, di cui tre in carcere, e sequestro di prodotti finiti: esplode l'inchiesta della Procura di Taranto sull'Ilva. Le accuse sono corruzione e associazione a delinquere. Tra le persone arrestate vi sono il vicepresidente del Gruppo, Fabio Riva, l'ex direttore del siderurgico di Taranto, Luigi Capogrosso, l'ex consulente dell'Ilva, Girolamo Archina', e l'ex consulente della procura di Taranto Lorenzo Liberti, gia' preside della Facolta' di Ingegneria a Taranto. Proprio Liberti, secondo la tesi dell'accusa, sarebbe il destinatario di una 'mazzetta' di 10mila euro che Archina' gli avrebbe consegnato nel marzo 2010 in una stazione di servizio lungo l'autostrada Taranto-Bari. I soldi dovevano servire, sempre secondo l'accusa, ad attenuare la perizia che Liberti, assieme ad altri esperti, stava conducendo su incarico della Procura di Taranto relativamente all'impatto dell'inquinamento da diossina sulle condizioni di vita e salute della popolazione tarantina. L'Ilva ha sempre smentito che si trattava di una tangente a Liberti ma ha affermato che quei soldi Archina' avrebbe dovuto versarli come donazione alla Diocesi di Taranto. Tra i provvedimenti adottati oggi c'e' anche il sequestro delle merci finite, in partenza dal porto di Taranto, prodotte dall'Ilva. La misura sarebbe stata adottata perche' Ilva avrebbe violato le prescrizioni del sequestro adottato dall'Autorita' Giudiziaria, nel luglio scorso, sugli impianti dell'area a caldo. Sequestro che non prevede la facolta' d'uso a fini produttivi degli impianti del siderurgico. 
BONELLI(VERDI), INFAME SVENDERE SALUTE DEI CITTADINI - "Non c'e' nulla di piu' infame che svendere la salute dei cittadini". Lo dichiara il Presidente dei Verdi Angelo Bonelli che aggiunge: "Il sistema Taranto si e' dimostrato un sistema di illegalita' e corruzione degno di una vera e propria organizzazione criminale che non si e' fatta scrupoli a lucrare sulla vita delle persone. Siamo convinti che il 'sistema Taranto' potrebbe essere il sistema che viene utilizzato nella maggior parte delle aree inquinate dove i cittadini, la loro salute e la loro vita sono le prime vittime di chi specula sull'inquinamento e opera nell'illegalita'". "Quello di Taranto sara' il processo ambientale piu' importante nella storia d'Italia. Quello che ci preoccupa, pero', e' l'incapacita' da parte del governo di fornire alla citta' una prospettiva politica, economica e occupazionale alternativa ad una citta' dove si muore d'inquinamento - spiega il leader ecologista - Con il tentativo di minimizzare l'emergenza ambientale e sanitaria e con la ricerca di soluzioni utili all'azienda piu' che ai cittadini si e' perso, volutamente, del tempo prezioso mentre l'unica istituzione ad aver compreso le proporzioni del dramma e del disastro e' stata la magistratura che sta facendo rispettare la legge". "Solo con la dichiarazione di Area No-tax si potrebbero attirare a Taranto 300 nuove aziende pronte a dare tanta occupazione 'pulita' - conclude Bonelli - Ma da quest'orecchio la politica ed il governo continuano ad essere sordi e a difendere un sistema produttivo diossina-dipendente".

I PM "DIRITTO VITA E SALUTE NON SONO COMPRIMIBILI" - E' di sette arresti il bilancio dell'operazione della guardia di finanza di Taranto che ha eseguito le ordinanze di custodia cautelare, perquisizioni e sequestri per la Ilva. Delle tre ordinanze in carcere (le altre quattro riguardano gli arresti domiciliari), una e' nei confronti di Fabio Riva che allo stato e' irreperibile. Due dei provvedimenti si riferiscono a procedimenti autorizzativi rilasciati dalla Pubblica amministrazione per materie ambientali e discariche, gli altri cinque invece sono riferiti al cosiddetto "filone Ilva" per il quale da luglio scorso e' in atto un sequestro per disastro ambientale degli impianti dell'area a caldo. Le ipotesi di reato vanno dall'associazione a delinquere (finalizzata al disastro ambientale aggravato e all'omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, avvelenamento di acque e sostanze alimentare), concussione e corruzione . Coinvolti, fra gli altri, Fabio Riva, vicepresidente dell'omonimo gruppo siderurgico, l'ex assessore all'Ambiente della Provincia di Taranto, Michele Conserva, l'ex direttore dello stabilimento siderurgico di Taranto, Luigi Capogrosso, e l'ex consulente dell'Ilva di Taranto, addetto ai rapporti con le Pubbliche Amministrazioni, Girolamo Archina'.

Ci sono anche circa 20 indagati a piede libero, e' stato sottolineato nel corso di una conferenza stampa svoltasi nella sede del comando dalla Guardia di Finanza, il procuratore capo della Repubblica, Franco Sebastio, non ha escluso ulteriori sviluppi. Parlando del filone d'indagine relativo all'Ilva, il magistrato ha evidenziato come "il diritto alla vita e il diritto alla salute non siano comprimibili dall'attivita' economica. Non ci possono essere situazioni di inesigibilita' tecnica ed economica quando e' in gioco il diritto alla vita che e' un diritto fondamentale sancito dalla Carta Costituzionale". Un riferimento che il procuratore ha fatto proprio per evidenziare la gravita' dell'inquinamento contestato all'Ilva. "Stiamo parlando - ha aggiunto il procuratore - di reati di pericolo che coinvolgono un gran numero di persone". Spiegando poi il provvedimento di sequestro sui beni prodotti dall'Ilva, coils e lamiere, il procuratore ha detto che "questi prodotti sono il prezzo e il profitto di un'attivita' che noi riteniamo penalmente illecita e quindi come tale da sottoporre a sequestro". In altri termini, i pubblici ministeri hanno ritenuto di dover sequestrare i prodotti finiti dell'Ilva in quanto dopo il sequestro dell'area a caldo senza facolta' d'uso fatto a luglio scorso, l'azienda ha ugualmente continuato a produrre. Il procuratore ha poi smentito che questa produzione, avvenuta dopo il sequestro, sia dovuta anche ad un'azione di mancata vigilanza dei custodi giudiziari responsabili delle aree del sequestro.

Il procuratore ha infatti chiarito che il primo provvedimento del gip, risalente al 26 luglio scorso, prevedeva che gli impianti dell'Ilva venissero spenti per far cessare le situazioni di pericolo. Successivamente due provvedimenti del tribunale del riesame hanno evidenziato - ha detto il procuratore - che "lo spegnimento non era l'unica misura possibile e che in ogni caso bisognava salvaguardare l'integrita' degli impianti per non comprometterne l'eventuale ripresa produttiva futura e la sicurezza dei lavoratori addetti. Questa puntualizzazione del riesame - ha sostenuto il procuratore Sebastio - ha fatto si' che i custodi giudiziari sviluppassero un ulteriore lavoro di approfondimento tecnico e noi nelle ultime settimane abbiamo anche contattato delle aziende esterne all'Ilva che si sono dette disponibili a procedere allo spegnimento degli impianti fermo restando tutte le misure e le cautele tecniche e di sicurezza.

Il sequestro fatto a luglio presupponeva anche una collaborazione da parte del soggetto colpito, collaborazione che invece non c'e' stata, ne' noi la potevamo imporre. Ecco perche' si e' reso necessario individuare delle alternative come appunto il ricorso ad aziende esterne, anche se esiste un problema di spesa che dovra' affrontare l'erario". Al procuratore e' stato poi chiesto se di fatto il blocco a valle dei prodotti dell'Ilva non portera' ora l'azienda a doversi autonomamente fermare. Il procuratore ha cosi' risposto: "Questo lo dovete chiedere all'Ilva, non a noi". Il procuratore ha poi aggiunto che gran parte dell'inchiesta si e' basata sulle intercettazioni "dalle quali non certo emerge - ha affermato Sebastio - un quadro allegro e confortante". A tal proposito il procuratore ha citato un'intercettazione, senza pero' specificare a chi fosse riferita, nella quale si dice testualmente: "Due casi di tumore in piu' all'anno... Una minchiata". Noi - ha affermato il procuratore - siamo dell'avviso che la vita umana sia sacra e anche il diritto alla vita di una sola persona va tutelato sopra ogni cosa. Ci conforta che le nostre richieste siano state accolte integralmente dal gip".

FERRANTE: NON HO ALCUNA INTENZIONE DI LASCIARE IL MIO RUOLO" - “Non ho alcuna intenzione di rinunciare all’incarico di Presidente di Ilva S.p.A., assunto nel luglio scorso. Le contestazioni che mi sono state rivolte dal PM di Taranto appaiono inconsistenti e strumentali. Proseguirò nel mio compito nell’interesse dei tanti lavoratori e dell’Azienda, convinto sempre che è possibile e doveroso coniugare ambiente, salute e lavoro”. Queste le dichiarazioni di Bruno Ferrante.

TARANTO, AREA 'A FREDDO' VERSO LO STOP - L'Ilva di Taranto si accinge a fermare tutta l'area a freddo, ovvero tubifici, rivestimenti, laminatoi, treni nastri e treno lamiere a seguito del sequestro disposto dalla Magistratura oggi per i prodotti finiti. La Procura ha infatti sequestrato 'coils' e lamiere, prodotti nelle ultime settimane in quanto li ritiene 'provento e profitto di attivita' penalmente illecita', quella cioe' derivata dagli impianti dell'area a caldo, altiforni e acciaierie, che dal 26 luglio scorso sono sotto sequestro senza facolta' d'uso con l'accusa di disastro ambientale. L'Ilva, dicono i pm, non poteva produrre dopo il sequestro e il fatto che abbia continuato a farlo e' un illecito. Di qui il blocco dei prodotti derivati da quest'attivita'.Per l'area a freddo, causa la crisi di mercato, l'Ilva aveva gia' fermato alcuni impianti nei giorni scorsi come il treno lamiere e il rivestimento tubi, ai quali si e' aggiunto dalla fine della scorsa settimana anche il tubificio due. Per effetto di questa fermata 700 lavoratori sono in ferie forzate in attesa che l'Ilva definisca con i sindacati metalmeccanici un accordo sulla cassa integrazione ordinaria, gia' chiesta per 2mila unita'. Adesso, invece, a valle del sequestro disposto dalla Magistratura, l'Ilva ha deciso di fermare tutta l'area a freddo e quindi piu' impianti. Si calcola che circa 5mila potrebbero essere i lavoratori coinvolti in questo stop.

AZIENDA,CON SEQUESTRO INELUTTABILE CHIUSURA STABILIMENTO - Il provvedimento di sequestro emesso oggi dal Gip di Taranto, comportera' "in modo immediato e ineluttabile l'impossibilita' di commercializzare i prodotti e, per conseguenza, la cessazione di ogni attivita' nonche' la chiusura dello stabilimento di Taranto e di tutti gli stabilimenti del gruppo che dipendono, per la propria attivita', dalle forniture dello stabilimento di Taranto". Lo sottolinea l'azienda in una nota, rendendo noto che "la Societa' proporra' impugnazione avverso il provvedimento di sequestro e, nell'attesa della definizione del giudizio di impugnazione, ottemperera' all'ordine impartito dal GIP di Taranto". "Premesso che ILVA non e' parte processuale nel procedimento penale - si legge nella nota - ed e' quindi estranea a tutte le contestazioni ad oggi formulate dalla Pubblica Accusa; premesso altresi' che lo stabilimento ILVA di Taranto e' autorizzato all'esercizio dell'attivita' produttiva dal decreto del Ministero dell'Ambiente in data 26.10.2012 di revisione dell'AIA; premesso infine che il provvedimento di sequestro emesso dal GIP di Taranto in data odierna si pone in radicale e insanabile contrasto rispetto al provvedimento autorizzativo del Ministero dell'Ambiente, la Societa' proporra' impugnazione avverso il provvedimento di sequestro e, nell'attesa della definizione del giudizio di impugnazione, ottemperera' all'ordine impartito dal GIP di Taranto". "Per chiunque fosse interessato -prosegue la nota aziendale- ILVA mette a disposizione sul proprio sito le consulenze, redatte da i maggiori esponenti della comunita' scientifica nazionale e internazionale, le quali attestano la piena conformita' delle emissioni dello stabilimento di Taranto ai limiti e alle prescrizioni di legge, ai regolamenti e alle autorizzazioni ministeriali, nonche' l'assenza di un pericolo per la salute pubblica. ILVA ribadisce con forza l'assoluta inconsistenza di qualsiasi eccesso di mortalita' ascrivibile alla propria attivita' industriale, cosi' come le consulenze epidemiologiche sopraccitate inequivocabilmente attestano".

PRESSIONI SULL'ARPA, SECONDO IL GIP CI SAREBBE REGIA DI VENDOLA - Ci sarebbe 'la regia' del governatore della Puglia, Nichi Vendola, nelle 'pressioni' per 'far fuori' il direttore generale dell'Arpa Puglia, Assennato, autore della relazione sulle emissioni inquinanti prodotte dall'Ilva. Lo scrive il gip di Taranto Patrizia Todisco nell'ordinanza d'arresto per i vertici dell'Ilva. Intanto il presidente dell'Ilva Bruno Ferrante annuncia che non si dimette e il ministro dell'Ambiente Corrado Clini si dichiara preoccupato che questa iniziativa blocchi l'Aia.

F on t e : libero.it
 

SCONTRINI DETRAIBILI DALLE TASSE

Contro il lavoro nero arriva lo scontrino detraibile: le ricevute si potranno scaricare dalla dichiarazione dei redditi. Secondo i promotori del provvedimento lo sconto fiscale dovrebbe essere un incentivo a chiedere lo scontrino, in modo da far emergere il lavoro nero. Ma il fronte di chi giudica inutile o dannoso il cosiddetto contrasto di interessi si ingrossa.   

L'emendamento, presentato da Giuliano Barbolini (Pd) all'interno della delega fiscale, sarà votato in Senato nei prossimi giorni. In un primo momento, il governo Monti si era detto contrario. Poi il via libera, grazie a una formulazione più vaga, che affida all'esecutivo il compito di "emanare disposizioni per l'attuazione di misure finalizzate al contrasto di interessi fra contribuenti, selettivo e con particolare riguardo alle aree maggiormente esposte al mancato rispetto dell'obbligazione tributaria, definendo attraverso i decreti legislativi le più opportune fasi applicative e le eventuali misure di copertura finanziaria". La sostanza non cambia: il governo dovrà studiare una soluzione che permetta di scaricare gli scontrini dalla dichiarazione dei redditi. Magari lo sconto non si potrà esercitare per la ricevuta di cornetto e cappuccino: con tutta probabilità si tenterà questa strada nei settori più esposti al "nero".  

L'emendamento non incontra però un consenso unanime. Non sono poche le voci che definiscono il provvedimento non solo inutile (perché non riuscirebbe a far emergere il lavoro nero) ma anche dannoso per le casse dell'Erario.  

Giuseppe Bortolussi della Cgia di Mestre si rifà agli effetti di detrazioni già in vigore. “Se guardiamo al nostro Paese e consideriamo i casi legati alle ristrutturazioni edilizie, dove il contribuente può detrarsi dall’Irpef il 36% delle spese sostenute e addirittura il 55% di quelle per i risparmi energetici, possiamo stimare un costo per l’Erario di 2,4 miliardi di euro all’anno”. I miliardi "scontati" agli italiani sarebbero stati tre. L'auspicio era quello di recuperare questa somma attraverso il gettito delle transazioni "stanate" dal Fisco.

Il risultato è rimasto lontano dall'obiettivo: la somma recuperata dal nero è stata inferiore ai 630 milioni. E poi, sostengono i detrattori, per quanto convenienti possano essere gli sconti, l'evasione totale resta "più conveniente". Anche il governo ha riconosciuto questo "difetto di progettazione" e continua a manifestare scetticismo: la perdita per le casse dello Stato è immediata e certa. Il recupero del nero, al contrario, sarebbe successivo e incerto.
 
Infine, sulla lotta all'evasione è intervenuto il premier Mario Monti che ha spiegato come il governo "in qualche caso sia andato ai margini della violazione della privacy", aggiungendo però che sul tema dell'evasione "siamo in stato di guerra e non è possibile avere una pace sociale tra cittadini e Stato se non con una riduzione del fenomeno".

F o n t e : libero.it
 

domenica 25 novembre 2012

TFR : TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO

Ti hanno appena assunto. Sei giovane e giustamente contento perché trovare lavoro in questo periodo di crisi non è facile per nessuno. Ma non sederti sugli allori. C’è una scelta da fare nel giro di poco tempo. Una scelta che avrà le sue conseguenze sul tuo futuro. Devi decidere come destinare il tuo Tfr, cioè il trattamento di fine rapporto. Entro sei mesi dall’assunzione, infatti, tutti i lavoratori dipendenti devono indicare cosa vogliono fare della liquidazione, una vera e propria retribuzione differita, che il datore corrisponde al dipendente in ogni caso di cessazione di rapporto di lavoro subordinato.

La decisione, frutto di una peculiarità tutta italiana, è repentina e delicata. In ballo non ci sono soltanto i criteri di convenienza economica, ma anche la propria propensione al rischio. Con l’aumento dell’età pensionabile, sempre più evidente con la riforma Fornero di un anno fa, infatti, il lavoratore dovrà scegliere se tenersi la liquidazione maturata e una pensione più bassa o se investirla nella speranza di avere una pensione vicina all’80 per cento dell’ultima retribuzione.

Il lavoratore dipendente appena assunto ha tre opzioni fondamentali per destinare il proprio Tfr:
  1. lasciare il Trattamento di fine rapporto nell’azienda in cui lavora,
  2. destinarlo al Fondo Tesoreria Inps (Istituto nazionale della previdenza sociale);
  3. sottoscrivere un’adesione ad una forma di previdenza complementare (fondi pensione) presso istituti bancari o compagnie di assicurazione.
Per capire cosa sia meglio scegliere è necessario partire da una distinzione basilare. La normativa, che ha subito le ultime modifiche con la riforma del 2005, distingue fra aziende con meno o più di 50 dipendenti. Le differenze sono sostanziali ed è opportuno vederle più nel dettaglio.

Aziende con meno di 50 dipendenti.
Se il dipendente lascia il Tfr nella propria azienda non ci sono molte novità rispetto al passato. C’è una rivalutazione ogni anno di un tasso determinato da una quota fissa dell’1,5 per cento e dal 75 per cento dell’aumento dell’indice dei prezzi al consumo accertato dall’Istat rispetto al mese di dicembre dell’anno precedente. Il Tfr maturato al momento della cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni, licenziamento e pensionamento viene calcolato sommando per ciascun anno di servizio una quota pari e comunque non superiore all’importo della retribuzione dovuta per l’anno stesso diviso per 13,5 (è pari al 6,91 per cento della retribuzione). Inoltre il lavoratore può chiedere un anticipo fino a un terzo della liquidazione dopo 8 anni di servizio per il pagamento della casa o di spese di salute. La scelta di conferire il Tfr al datore di lavoro è reversibile, nel senso che in un secondo momento è possibile disporre il versamento all’Inps o al fondo pensione privato, ma non si può fare il contrario.

Aziende con almeno 50 dipendenti. Anche in aziende di queste dimensioni è possibile rilasciare il Tfr al proprio datore di lavoro. L’azienda è però obbligata a trasferire le somme presso un fondo unico nazionale, gestito direttamente dall’Inps. In caso di cessazione del rapporto di lavoro, oppure di una richiesta di anticipo, il datore di lavoro dovrà pagare al dipendente, per poi rivalersi a sua volta sul fondo previdenziale. Con la riforma del 2005 è stato introdotto il criterio del silenzio-assenso per il conferimento del Trattamento di fine rapporto a una forma pensionistica.
In pratica il lavoratore dipendente ha sei mesi per scegliere se destinare il Tfr ai fondi pensione (sia di categoria che aperti). Nel caso in cui il lavoratore non effettui nei termini di legge una scelta esplicita, il datore di lavoro trasferisce il Tfr alla forma pensionistica collettiva di riferimento, cioè a un fondo negoziale oppure a un fondo pensione aperto individuato in base ad accordi collettivi. In presenza di più forme pensionistiche collettive, il Trattamento di fine rapporto viene trasferito a quella cui abbia aderito il maggior numero di lavoratori dell’azienda. Qualora non vi sia una forma pensionistica collettiva di riferimento, il datore di lavoro trasferisce il Tfr maturando (ossia quello che matura dopo l’adesione a un Fondo) al FondInps, la forma pensionistica complementare istituita presso l’Inps.

Tra le scelte per destinare il proprio Tfr c’è quella delle forme pensionistiche complementari. Si tratta di un’opzione che lo Stato italiano sta incentivando da un punto di vista fiscale per favorirne la ancora scarsa diffusione. Basti pensare che i rendimenti prodotti sono tassati all’11 per cento anziché al 12,50 per cento previsto per tutte le altre tipologie d’investimento. 

Le più importanti forme di previdenza complementari sono classificabili in quattro gruppi.

Fondi chiusi o negoziali.
Il costo di gestione è il più vantaggioso. Sono istituiti dai rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavori nell’ambito della contrattazione nazionale, di settore o aziendale. A questa tipologia appartengono anche i fondi pensione cosiddetti territoriali, istituiti cioè in base ad accordi tra datori di lavoro e lavoratori appartenenti a un determinato territorio o area geografica. Questo tipo di Fondi, oltre al Tfr dei lavoratori possono raccogliere ulteriori versamenti effettuati sia dai lavoratori sia dai datori di lavoro. L’adesione a questi Fondi, tuttavia, non obbliga a versamenti ulteriori, in aggiunta al Tfr.

Fondi aperti.
Il costo medio di gestione è dell’1,9 per cento all’anno per 3 anni di sottoscrizione, dell’1,4 per cento per 10 anni e dell’1,2 per cento per 35 anni. Sono forme pensionistiche complementari istituite da banche, imprese di assicurazione, Società di gestione del risparmio (Sgr) e Società di intermediazione mobiliare (Sim). Questi fondi possono essere scelti per la destinazione del TFR da tutti i lavoratori. Il patrimonio dei Fondi resta comunque separato da quello della società che l'ha istituito, in modo da salvaguardare il credito dei lavoratori. Anche in questo caso l'adesione non obbliga a versamenti ulteriori, in aggiunta al Tfr.

Pip (Piani individuali Pensionistici). Il costo di gestione è il meno vantaggioso (circa il 2 per cento annuo per 35 anni di sottoscrizione). In genere sono creati dalle imprese di assicurazione attraverso polizze assicurative sulla vita con finalità previdenziali. Anche in questo caso il patrimonio dei PiP resta separato da quello della compagnia di assicurazione che l’ha istituito.

Fondi preesistenti.
Sono le forme pensionistiche presenti prima del 1993 quando la previdenza complementare è stata disciplinata per la prima volta. Dal 2007, con un disposto alla Riforma della previdenza complementare, si sono sempre più allineati agli attuali Fondi pensionistici integrativi.

Le tante opzioni in campo spesso confondono i lavoratori, soprattutto i nuovi assunti. Volendo trovare una sintesi delle varie opinioni degli esperti si può partire dal dire che se la propria azienda aderisce ad un fondo pensione tramite un accordo collettivo, per il lavoratore sarà sicuramente conveniente. La propria azienda, infatti, avrà l’obbligo di versare a favore del proprio dipendente una quota pari ad almeno il 2 per cento del suo reddito tabellare, cioè quello minimo previsto dai contratti collettivi per il proprio livello di inquadramento. Il dipendente, da parte sua, sarà obbligato ad investire mensilmente una quota, fiscalmente deducibile, pari all’1 per cento del proprio reddito tabellare.

Sicura, ma in generale meno conveniente la scelta del Fondo Tesoreria Inps. Da un lato i problemi di insolvenza sono ridotti, dall’altro le rivalutazioni attribuite al Tfr, pur essendo basse, sono comunque costanti e garantite nel tempo. Il rischio, invece, potrebbe essere altro se si lascia il proprio Tfr in azienda. L’insolvenza del datore di lavoro, infatti, lascerebbe il dipendente senza stipendio e liquidazione. Una prospettiva meno probabile per banche e compagnie di assicurazioni. Se si considera la questione dal punto di vista fiscale i fondi pensione sono più convenienti: mentre la tassazione del Tfr versato all’Inps dipende dalla propria aliquota media Irpef, infatti, nel caso dei fondi pensione l’aliquota di tassazione è pari al 15 per cento e può decrescere con l'aumentare dell'anzianità di contribuzione fino al 9 per cento.  L’altra faccia della medaglia sono i rendimenti altalenanti. Il fondo del resto non è tenuto a fare investimenti che tutelino il capitale, garantendo un interesse positivo, per quanto basso, come titoli di Stato oppure obbligazioni. Inoltre i fondi privati non sono a capitale garantito, in particolare in caso di fallimento del fondo stesso o delle imprese private in cui ha investito il capitale raccolto.

Per il Tfr non c’è, insomma, una scelta priva di pericoli. Lo Stato, però, è orientato a stabilire maggiori tutele soprattutto per la previdenza complementare. Non a caso la Covip, l’autorità amministrativa indipendente, che ha il dovere di vigilare sul buon funzionamento del sistema dei fondi pensione, ha un potere sempre maggiore. Dall’obbligo di individuazione dei gestori in base a una selezione pubblica all’indicazione dei criteri e dei vincoli agli investimenti fino all’imposizione di regole di gestione dei conflitti di interesse. E alla Covip recentemente è stato assegnato un altro compito: la responsabilità di controllo sugli investimenti finanziari e sul patrimonio delle Casse professionali private e privatizzate.

F o n t e : libero.it